E dire che nemmeno mi pungevano. Le zanzare, che pure erano democratiche ed egualitarie, laggiù tra i delta delle fiumare che cambiavano di posto ogni notte. Zanzare autarchiche, che si levavano al crepuscolo dai loro nascondigli (sottovasi, argini, pozzanghere cittadine di oleosa bellezza, dove si specchiavano inclinati i palazzi d’edilizia popolare e i cieli arancioni e meridionali) e salivano in sciami silenziosi verso la città di carne. Eravamo abbronzati, accaldati: allora l’aria condizionata era solo nelle banche e nei supermercati, e in casa era tutto un industriarsi di cannizzi, ventagli, correnti d’aria organizzate tra porte e finestre (mia madre era l’architetto dei venti, li orchestrava ogni mattina dopo averne studiato intensità e direzione, ché lo scirocco portava dentro e il levante peggio, ma la tramontana era pulita e spingeva ogni cosa, il caldo le zanzare e l’odore di soffritto, alla casa della vicina), ventilatori a pale che ogni tanto si fulminavano e facevano saltare l’impianto con esplosioni da festa paesana.
Eravamo abbronzati, accaldati e anche persuasi che fosse in qualche modo un prezzo necessario, per l’estate che allora era infinita e piena di sottopassaggi, stanze tigrate, albicocche, prìncipi, notti vere.
Poi, era anche vero che loro, le zanzare, s’erano divise la famiglia a metà: mia madre e mio fratello, i santi lazzari, si consolavano dicendo a me e mio padre che avevamo il sangue amaro, e nemmeno le zanzare ci volevano. Io facevo le boccacce ma segretamente ne soffrivo. Tra le tante perfezioni mostruose di mia madre, anche quella mi mancava: il sangue dolce. E la mattina me li cercavo, addosso, i puntini rosse, e qualche volta li disegnavo col lampostil: già da allora non sopportavo il nesso causa-effetto, o pensavo si potesse in fondo invertire, come avviene con le parole.
Il mio sangue restava amaro, amaro, amaro.
Dopo non m’importò più molto. Fino al matrimonio col vampiro. Era un pasto superbo, per le zanzare, quasi come gli esseri umani (io, soprattutto) erano per lui. La notte sciami orientali e asiatici scendevano a trovarci, lasciando del tutto intatta me, e succhiando a lui il sangue mille o duemila volte. Era il suo candore ingannevole, il suo odore segnaletico e fasullo, sospetto. Ma le zanzare erano anche più sceme delle donne, e accorrevano allo stesso modo.
Una volta andammo a Stonehenge, il cerchio di pietre confitto nella piana inglese di Salisbury: una delle cose impossibili a credersi, in quella terra di cabine rosse e monarchie coi sottoteiera (non possono stare nella stessa nazione, la carta igienica profumata di rose, la moquette in bagno, la regina madre e i megaliti: non ha senso).
Era campagna, aperta e inglese. Presto, su ciascuno dei visitatori – era un pomeriggio fosco, d’estate corrucciata e algida – cominciò a formarsi una nuvola d’insetti. La avevamo tutti, sospesa a un metro dal capo: una nuvola nera, brulicante, di moscerini o chissà cosa, che ci seguiva dovunque andassimo. Ebbene, la sua, del vampiro, era tre volte più grande delle altre. Contemplai affascinata per ore quelle folli aureole nere, quegli ultracorpi sospesi che si spostavano seguendo gli esseri umani e mi scordai del tutto delle pietre.
Il mio sangue restava amaro pure per gli insetti inglesi.
Anni dopo il fidanzato vegetariano, con un debole per le cause perse, lanciò un proclama di difesa delle zanzare, che nel frattempo s’erano geneticamente modificate, s’erano intigrite e urbanizzate ed erano uguali ai barracuda tropicali che infestano i nostri mari. Le zanzare erano come il campionato, ormai: si gioca ogni giorno e non c’è più gusto.
Il vegetariano sosteneva che non si dovevano uccidere, le zanzare: e che diremmo noi – sosteneva con la sua vocetta da primo della classe anziano – se un gigante provasse a ucciderci? Io tacqui per un certo tempo, perché mi funziona pur sempre l’imprinting della donna zitta, o forse è il mio orgoglio calabrese che m’impedisce d’ammettere subito che mi sono accoppiata con un cretino. Ma a un certo punto glielo dissi: io non vado in giro a scassare le palle ai giganti mordendoli per succhiargli il sangue. Il vegetariano s’offese a morte, per fortuna.
Oggi il mio sangue è molto migliorato. Lo dolcifico regolarmente con grandi dosi di sostanze segrete (letteratura, amore non vegetariano, vino rosso, tango argentino, ricordi) e le zanzare m’ignorano per libera scelta. Ma le zanzare oggi sono alleate con altre specie, i pappataci i zappagghiuni i tigri i papi, e sono una cosa diversa. Signora mia, non le fanno più, le zanzare, come una volta.
dedicato a Fiamma Lolli, e alla sua arte di fattucchiera e fabbricatrice di filtri zen antizanzare.
E’ questa l’origine del nome “zenzero” antico ritrovato zen contro le zanzare. Prima si chiamava Zanzero (ZANzareZERO), dopo che il suo uso fu disciplinato dalla filosofia ZEN diventò ZEN ZERO.
Purtroppo l’uso di cospargersi con uno strato di due cm di pan di zenzero per sfuggire alle zanzare è passato di moda. Era un efficacissimo sistema naturale per combattere gli insetti (anche se rendeva un po’ rigida la camminata).
bellissimo post. Tornerò a trovarti!
valentina
Mio fratello è un inventore: adesso ha inventato un apparecchio per la distruzione delle zanzare. E’ un piccolo aggeggetto con un saltaleone: si carica, si applica fuori della finestra, e fa: psss… psss… psss… La zanzara che si trova nella stanza, sentendo fare: psss… psss… va di fuori, credendo di trovare il zanzaro… Si approfitta di quel momento, si chiude la finestra… E’ finita, è finita qui, è irrimediabilmente finita!
Gastone, sei davvero un bell’Adone! Hai le donne a profusione, Gastone… Gastone… (Ettore Petrolini)
il fascino delle parole, la capacità che hai di trasformare la realtà, i pensieri, la vita, in letteratura, ci fa sperare in un’Italia meno triste.
grazie
che bello, nonsucchinobrioches 😀
ma io ti batto, sai: oltre al sangue indigesto, oppongo loro una fitta peluria che, se in milonga non è chic, sotto le stelle brianzole è la salvezza!
Questi post sono uno meglio dell’altro.
Un saluto da erm.
Capito qui per caso dopo un labirinto che nemmeno seguendo il filo di Arianna della cronologia si riuscirebbe a ripercorrere…ma con il sottofondo del tango…
Bellissimo post…….. più fastdiosi i tuoi ex che le zanzare….anche a me pungono poco..e poi..che vuoi che sia una punturina …..mi da molto più fastidio il loro ronzio…..:-D
Marcopernonessereanonimo
Un saluto da erm e complimenti per il post.
Non c’entra,
ma c’entra, forse è un OT schifosamente narcisistico o artritico.
Quel dipinto di De Pisis lì sopra molto l’ho amato tanto che ci scrissi ‘na poesia di sopra, anni fa e la metto qui:
Su di una natura morta con conchiglie di De Pisis del 1928
Mi pare d’essere al capanno…..
Li vedi quel mare e l’orizzonte
sognato e segnato
dall’unica pennellata turchina:
stanno a ricordarti
in quel trapezio di fondo
il mio Adriatico,
così distante di qua
e il buon Carrà
che puoi immaginare
in quella macchietta solinga
sulla spiaggia
accanto alla sua iole.
Qua in fronte ho dipinto
un ripianetto
di sole asperso
e su di esso
le mie conchiglie luccicanti
vibranti di rosso cuore
ombra, passione.
A sinistra ci posai
quel paesaggino,
un ricordo montano
e pare una cartolina…..
Sta a parlare di un luogo
per cui nostalgia non nutro,
quasi mi volesse comprare,
mi volesse far ritornare.
Sto così bene qui a Parigi……..
Mario Bianco
22-14.8.2000
è bellissima, mariusso! meglio del dipinto. sognato e segnato: è tutto lì.
grazie Anna :-)))