L’Ora In Più era dentro un vasetto di terracotta, chiuso. S’agitava con un rumore di acque.
La Donna Divisa chiese: “E’ questa, allora?”.
L’Uomo Delle Stagioni rispose con un cenno. Sì.
L’autunno intanto s’era cacciato chissà dove. Era giugno fatto.
“Ma è il 29 ottobre” obiettò la Donna Divisa, però debolmente, ché tanto lei era avvezza all’impossibile. Lo praticava tutti i giorni, anche due volte al giorno.
Lei, per esempio, dall’inizio di quell’autunno estivo era più divisa del solito: una parte frequentava il liceo, alcuni giorni di fine anno. C’era la luce di certi pomeriggi fuori dalla scuola, pietra gialla e labbra, e dipinti di Caravaggio e versi alessandrini: le sere si schiudevano lentissime, piene di passioni future, sillabe, alberi di magnolie secolari dalle foglie come piccole barche.
Lei stava lì, traduceva col vocabolario di greco – che era il Rocci, ed era la cosa più assurda che avesse mai sfogliato: una lingua dissezionata, distesa e trafitta da migliaia di piccoli spilli, come una sfilata di falene, come un futuro già morto.
L’autunno intanto era nascosto a duecento chilometri sotto il mare e la terra, e sul suo capo incoronato passavano le navi larghe dello Stretto.
Ogni mattina lei scrutava il cielo, e non c’era niente.
“Sono molto lente, quest’anno”, diceva all’ Uomo delle Stagioni, che rispondeva solo con un cenno. Sì.
Lei si rammaricava di nascosto. Avrebbe voluto sentire la venatura di rame che scorreva all’incontrario dalla terra al cielo, spargendosi per le foglie – come un veleno, come certi amori prepotenti, distruttivi, belli a guardarsi di lontano.
Lei avrebbe voluto ricomporsi un poco: le capitava, qualche volta, nella stagione fredda. I pezzi di lei si ritiravano, dalle terre, dai giorni, dalle cose. Poteva stare un pomeriggio intero rannicchiata sul divano, addosso la coperta scozzese, sul grembo un gatto, caldarroste, un libro. Senza memoria, come l’autunno di ogni anno.
E invece no.
Le sere avevano un odore sbagliato: lei s’affacciava sul terrazzo, a occhi chiusi inspirava forte promesse, spiagge, giovinezze, ciottoli caldi, polline, infiorescenze, possibilità. L’aria suggeriva che tutto fosse possibile, anzi necessario.
I colori non aiutavano: al nero azzurro e cristallino di settembre s’era sostituito un oro rosa diffuso, una curvatura del cielo che sfumava nel cremisi, nel corallo, nell’incarnato delle pietre senzienti che recingono l’estate.
“Ma questo è l’odore di giugno” esclamava, voltandosi verso l’Uomo delle Stagioni. Lui, invariabilmente, annuiva. Sì.
Lei restava a lungo sul terrazzo, a respirare ampie boccate, e parti di lei si staccavano a caso e volavano all’indietro, dove potevano restare per un mese o un anno. Una casa al mare sulla costa viola: la vigna blu chiudeva l’orizzonte. Il due novembre al cimitero, con la nonna: le cerimonie necessarie perché i morti restassero al loro posto, dentro di noi.
“Nonna, io non li sento” diceva la bambina toccandosi il petto. “”Nonna, per me non ci sono. Ma poi ci saranno? Ci saranno anche per me?” .
Lei la guardava col suo sguardo d’acqua celeste, e poiché aveva sottoterra, e dentro, un figlio e un marito e una madre e una sorella, sorrideva soltanto, desolata e sapiente. Sì.
Pezzettini piccolissimi della Donna si distribuivano a caso nello Stretto. Una cenere rosa come quella delle palpebre di giugno.
L’autunno, intanto, sprofondava nel silenzio delle vene di roccia pura, sotto le correnti, sotto le isole: nessuno riusciva a chiamarlo fuori, nemmeno il terremoto. Aveva scosso ben bene le coste, giovedì, mentre il pomeriggio agonizzava, arancione, e le magnolie stavano quasi ridestandosi, come i gerani: il loro tormento vegetale si poteva percepire chiaramente, come un ruminare sommesso che invadeva le piazze.
La Donna Divisa si lasciò dividere anche dal terremoto: ricordò la fuga, di notte, in braccio a papà. Tutti correvano verso lo spiazzo piatto dove ora c’è il Palazzo della Regione, e allora solo una fila di baracche di lamiera, e i caseggiati torvi in lontananza. Passammo a prendere la nonna, che lottava col suo busto di cento ganci, e cercammo la zia ch’era fuggita in vestaglia con uno dei figli in braccio, dimenticandosi tutti gli altri: “Non sapevo dove scappare, e speravo mi spuntassero le ali” ci confidò dopo, mentre bevevamo caffè e i maschi studiavano il modo di uscire dalla città, se il terremoto fosse tornato a prendersela.
La Donna Divisa restò a contare le oscillazioni, ondulatorie e sussultorie, mentre l’autunno s’aggrappava con dita di rami al centro della terra.
E intanto stava per arrivare novembre, coi suoi segreti funerari di zucchero, i suoi vialetti, i suoi interstizi di silenzio. "Finirà, tutto questo?” chiese la Donna Divisa, mentre sul terrazzo respirava un’altra sera sbagliata e aromatica.
L’Uomo delle Stagioni, al solito, annuì. Bugiardo.