
Era scivolata e s’era fatta male al piede, Concettina.
Restava a terra, la vestina gialla macchiata d’un rosso scuro, quasi marrone – la terra è come sangue vecchio, il sangue ricorda la terra che sarà – gli occhi velati, d’un nocciola con innumerevoli foglie. Il respiro irregolare, il cuore frettoloso.
La primavera intanto opprime la terra, l’ossessiona con la sua mania di germoglio, le fa piangere spesse lacrime verdi. Forse piove, perché ci sono gocce trasparenti che cadono senza sosta, frantumano la notte e poi ancora.
"Concetta, Concetta" chiamano da laggiù: le voci s’allungano come corde, vogliono allacciarla. Concettina corre.
Dalla flebo piove una pioggia glucosata e salina, e lei sta immobile nell’acquazzone, la vestina gialla inzuppata che stinge, come macchie di luce.
Concettina attraversa qualsiasi cosa: foreste, abiti, illusioni. Un matrimonio, due figli, otto aborti. Medico condotto con indennità di cavalcatura. Sindacalista col fazzoletto rosso. Il suo sogno piove a gocce, e lei non si scansa.
Era uscita con la vestina gialla, è caduta e s’è fatta male, Concettina.
Il bip del monitor divide la sabbia nella clessidra, disegna i movimenti del cuore, una punta in alto e una in basso. Concettina è certa di averne almeno una decina, di cuori: sono tutti a pezzi, stanotte. Concettina cammina scalza sui cocci.
"Non si sveglia" si sussurrano i parenti, allineati davanti al letto, che naviga piano nella corrente della corsia. "Non si sveglia" concludono i medici, la faccia d’argento e cromo, i cappucci delle bic che spuntano dai taschini dei camici. "Non si sveglia" dice a se stessa la figlia, che vede nitidamente la Crocifissione della Madre, come accade ogni volta.
Concettina è una bambina spaventata, la vestina gialla stropicciata dove si nasconde un povero affetto. Ha un cuore deluso, troppe sorelle, la stessa energia dei castagni e della terra marrone, come il sangue vecchio. Concettina combatte, cade e combatte per settantacinque anni. E’ una bambina vecchissima, Concettina.
Nella sacca del drenaggio si raccoglie un rosso cardinalizio, qualche goccia macchia il lenzuolo bianco. Nell’angolo del corridoio, una madonna celeste allarga le braccia. Anche i medici allargano le braccia. Il respiro di Concettina è affannoso: corre lungo la strada dei castagni mentre la terra gira in fretta. Salta una guerra, un boom economico, una stagione di piombo. Abita in riva al mare, e spalanca ogni giorno le persiane ammirando la perfetta quiete della bellezza, respirando il sale ad ampie boccate.
Nello stesso ospedale, quindici anni fa, Concettina vegliava la madre, una vecchia crespa dal naso diritto. Da sole nel buio evanescente della corsia, la vecchia respirava affannosa, perduta in altri sogni. Concettina la guardava affondare, guardava la Crocifissione della Madre, guardava se stessa nell’identico letto, i capelli come raggi attorno alla testa, i gioielli trasparenti delle flebo, i pizzi da imperatrice sulla camicia da notte.
"Concetta, svegliati" ora glielo dicono tutti, senza crederci. Sono arrivate le sorelle dal Nord, le comari vecchie dal paese, i medici di turno dall’altro lato dell’ospedale. I figli girano come squali prigionieri in una vasca troppo piccola. Il tempo gira nella vasca troppo piccola della corsia. Concettina dorme ancora.
"La primavera è una febbre" diceva Concettina camminando tra i castagni crocifissi. In mente aveva Dafne trasformata in albero, le braccia protese in rami, la gola piena di linfa.
Un tubo drena la gola di Concettina, piena di linfa bianca. Più giù, i polmoni sono vasche troppo piccole. Concettina diventa un albero, la parola morta in gola, le braccia protese in legno e foglie.
La febbre sale col suo passo di mercurio.
"Non si sveglia" concludono i medici, e scappano lontano. "Non si sveglia" dicono le infermiere, e chiudono il turno di notte facendo passare la tessera di plastica nell’orologio.
Dio, di lontano, esita, in mano la tessera di plastica, davanti all’orologio. Pensa a Concettina con la vestina gialla, mentre va a scuola tra mucchi di neve fresca. L’angelo della morte aspetta un suo cenno, appollaiato come un’aquila sul davanzale.
"Non si sveglia" dice a se stessa la figlia, stringendo la mano di legno di Concettina. Vede le Madri affondare una nell’altra, crocifisse, con lo stesso viso diritto. L’odore delle foglie è forte, nauseante: la primavera sa di ammoniaca e liquido di contrasto.
Nella sala della Tac si parla pianissimo, i medici frusciano e adorano silenziosi la divinità del tubo di metallo che legge la vita. Dio sorride, davanti agli dei analfabeti di metallo, ma guarda anche lui il diagramma, le ombre cinesi dove il male si nasconde, come da sempre.
Concettina dorme e non sogna, la vestina gialla strappata, le braccia di legno, le foglie morte che esitano, la pioggia salina e glucosata che riempie di sussurri la stanza vuota. Nessuno la chiama più, e Dio avvicina la tessera di plastica all’orologio. Concettina è marrone, come terra o sangue vecchio, la vestina gialla è scomparsa, nel gorgo marrone o rosso che sta ingoiando ogni cosa.
"La speranza è l’ultima…" dice il medico – la parola "morire" gli resta in gola come una spina – mentre il cappellano con gli occhi pieni di sonno unge la fronte di Concettina. La speranza combatte nei cieli contro la speranza. "Spes contra spem" mormora la figlia, ricordando che qualcuno lo ha dipinto, quel quadro, e c’è la bambina vestita di giallo che sta correndo fuori. Con un movimento impercettibile del cuore, si rassegna.
In quello stesso istante, Concettina si sveglia.
ps: mia madre si è svegliata, dopo sei giorni. Dicono che è un miracolo, ma io non credo ai miracoli. Credo alle speranze, al dolore, al caso, alla tenacia della vita. Credo che Dio non ami nemmeno lui quella dannata tesserina di plastica che segna la fine del turno. Il turno di notte.
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