L’angelo non resistette più, e alla fine si aprì un blog.
Un blog minimalista, bianco e nero, senza una sola pennellata di celeste. In alto a sinistra c’era pure la sua immagine, piccola, ritoccata col Photoshop.
C’aveva messo ore, a scattarla, con la fotocamera che prendeva di continuo abbagli, e sputava nuvole, aurore boreali, arcobaleni fuori asse. E non c’era traccia, del suo orecchino a boccola col teschio, del suo piercing al naso, del suo mascara nero assassino.
"Accidenti" pensava l’angelo, e un tuono echeggiava in qualche alto strato dell’atmosfera, dove l’ozono è di continuo bucato dall’andirivieni di mondi e creature e ire divine di cui non sappiamo.
Eppure sembrava assai facile: ti trovi un nick, scrivi il tuo indirizzo di posta, un paio di cliccate, un template. E che ci vorrà mai. I blog nascevano ormai più fitti dei fili d’erba, e da quando la circolare 89000.pigreco aveva equiparato le creature virtuali a quelle reali c’era tutto un traffico di custodi e angeli protettori che sobbalzavano a ogni vagito e ad ogni clic.
"E io che sono, il figlio della serva?" s’era detto l’angelo, che di sua natura era piuttosto invidioso degli uomini e delle due cose inesauribili che essi sembrano avere: la sopportazione e le idee. E dei blog, naturalmente.
Certe volte se ne andava di nascosto in un internet point, mimetizzato con la folla in anfibi e piume d’oca che lo circondava da ogni lato, si connetteva col pensiero e leggeva un sacco di blog che gli piacevano molto. Blog leggeri e aerei, blog acquatici, blog pesanti con mandibole d’acciaio. Blog di carta di riso, blog sporchi di maionese, blog con un tenue odore di cannella. Blog cinesi e birmani, blog messicani e speziati, blog in lingue morte o immaginarie che lui leggeva senza sforzo.
Certe volte lasciava pure un commento, firmando "a." con la minuscola, e capitava che gli dessero dell’anonimo e lo bannassero pure, al che lui s’intristiva tanto che, attorno, le piante morivano e le mosche ci restavano secche.
A volte caricava l’Ipod, ma ci metteva tanta roba che ne risultava una babele incomprensibile persino a lui. E poi in servizio non poteva portare gli auricolari, nemmeno nascosti tra i riccioli.
Era quasi diventata un’ossessione: leggere, commentare, seguire i feed.
E ogni tanto qualcuno gli faceva pure: ma tu non ce l’hai un blog tuo? E lui doveva ammettere che no, non ce l’aveva, ma gli sarebbe tanto piaciuto.
Così lo aprì, finalmente.
Col nick animapersa.
Bel blog.
Tutta questa premessa perché quel folle di Proteus, alias giowanni, alias Giovanni Monasteri, ha piazzato nei suoi Feaci un e-book audacissimo composto a quattro mani da me e Mario Bianco, pittore scrittore poeta cartografo folle e rappresentante dell’anima sulla terra. I protagonisti sono angeli, appunto, e case. Angeli stravaganti, che mangiano carbone o piangono lacrime di nafta, e talvolta persino esplodono nell’aria sottile (l’illustrazione è l’acquerello dedicato da Mario all’Angelo domestico, quello che candeggia la roba di dio, perde con lui a briscola e gli trova le soluzioni senza darlo a vedere. Una moglie, in pratica). Le case invece muoiono, con tutto il loro immenso assortimento di cose invisibili che non è possibile portare via, nemmeno col trasloco, nemmeno con gli esorcismi.
Io ho scritto una serie di assurdità, Mario invece ha dipinto cose bellissime, coi suoi acquerelli molto poco acquerellici e assai energetici, con una predilezione per rossi e aranciati e gialli che ardono come piccoli soli felici.
Insomma, l’e-book è questo, ma vi do un consiglio: a parte l’introduzione, magnifica, di Zena Roncada – che conosce tutte le esagerazioni dell’affetto ma resta una delle penne più fini e pregevoli che io abbia letto in queste lande e in tante altre (sì, l’ho sempre pensato: lei scrive con penne d’angelo, ormai è chiaro) – guardate solo le figure.