
Ho cercato di smettere e ci sono riuscita: non voto più Pd da un sacco di tempo. Ma non ne sono del tutto fuori, visto che continuo a incazzarmi esattamente come prima, anzi pure di più. E poi è in un certo senso una responsabilità sociale, preoccuparsi della sinistra, tutta quanta: se si è messa la maglia di lana (sì, pure troppe), se ha il mal di pancia (no, mai quando dovrebbe), se gli attacchi di Alzheimer di cui soffre periodicamente sono reversibili (non tutti).
Che poi si fa presto a dire sinistra, ma certo alcune, di sinistre, non si somigliano tra loro nemmeno da lontano, come mia zia Mariella e il nipote Pierluigi il commercialista, che penseresti che non possono essere parenti, e forse neppure della stessa specie (saremo mica tutti umani, no?). E non apriamo nemmeno il capitolo della somiglianza tra la sinistra centrale e le sinistre periferiche, che lì sono davvero cose sinistre e persino destre, per quanto possa sembrare assurdo (posto che esista ancora, dopo quel che abbiamo visto e votato, la categoria dell’assurdo)(poi comunque, se avete tempo, googlatevi, per esempio, Pd e Messina, tanto per).
No, non chiedetemi cosa ho votato finora, perché non ho il tempo e le forze per sostenere contraddittori su Verdi, Bertinotti, Vendola (sì, l’ho visto il video, grazie) e persino il mio diletto sindaco Accorinti, uno dei pochissimi candidati che mi sia mai riuscito d’eleggere, nella mia non breve carriera di elettrice (questo perché minoritari si nasce, e io modestamente lo nacqui).
Lo so, come tanti di noi comunque pochi (questo non è un Paese per sinistre, e forse neppure un universo, per sinistre), ho creduto a un certo numero di balle, mi sono appassionata a un certo numero di progetti insostenibili, a volte di personaggi insostenibili, ho pensato che l‘utopia fosse un obiettivo realistico (si chiama realismo magico, ho appreso poi. Meglio così).
Insomma, ho più o meno le cicatrici di tutti, le mollette “io ci tengo” di tutti, le disillusioni di tutti (vuoi salire a vedere la mia collezione di disillusioni politiche?), le ferite da fuoco amico di tutti, le ricevute da due euro di tutti. Però onestamente niente, quaggiù nella zona equatorial-polare della sinistra, quaggiù nel limbo dell’imposizione di Letta e di governo, quaggiù tra i rottami delle gioiose macchine da guerra, tra i set di smacchiatura giaguari fatti a Taiwan, niente è stato mai paragonabile alla meschineria di questi tempi ipocriti, largamente fraintesi, vigliacchi, democretini e tartufeschi. Tempi di cui sono degni testimonial personaggi – per dire – come Letta o Fazio.
E qui veniamo al punto: il Pd di oggi da tempo mi pare la terra dei fuochi della sinistra. Quello che brilla no, non è il sol dell’avvenire: è un rogo tossico. Il Pd mi ha delusa, nauseata, innervosita, disgustata, fatta incazzare, depressa in una ingegnosa varietà di modi e forme. Su qualunque cosa: economia, elezioni, candidature, opposizione, diritti civili, pensioni, scuola, lotta a Berlusconi, intesa con Berlusconi, patto di non belligeranza con Berlusconi, pattina di Berlusconi, bicamerale, biforcuta (lingua), bipolare (disturbo).
Onestamente, non meriterebbe ancora la mia attenzione.
Ma se non soffrissi di coazione a ripetere probabilmente non sarei tornata a votare, a votare a sinistra e a incazzarmi. Forse non sarei nemmeno di sinistra, non so (prima o poi bisognerà scrivere un Dsm della politica).
Comunque, questa lunga premessa per dirvi che alle primarie di domenica voterò. E voterò Pippo Civati. Perché sono persuasa che non c’entri un cavolo con il Pd, e io, che sono di sinistra, adoro i cavoli a merenda. Dunque il mio prossimo obiettivo d’irrealismo magico, utopismo coatto e romanticismo politico-psichiatrico sarà non cercare di piantare un Civati nel mezzo del Pd, ma – pensate – costruire un Pd attorno a Civati.
Pura follia, lo so.
Seguo Civati da un sacco di tempo: da quando era consigliere regionale della Lombardia, e aveva fatto una serie di cose di quelle che ti dici “toh, ma è possibile che questo sia del Pd? No, dai, hai capito male”. E invece.
Lo leggo tutti i giorni sul suo blog e su twitter: non c’è mai una nota frettolosa, inutile o anche solo esornativa. Non c’è mai una nota furba, posticipata, attenta alle rassegne stampa. Civati ha cose da dire, e le dice. Dopotutto, le cose si dicono, dicendole: e questa cosa di dirle, le cose, mentre succedono, è pressoché rivoluzionaria, nel Pd tartufo e schermato e scivoloso e sfuggente come una dc qualsiasi.
E le cose si fanno, facendole: tipo mettere su una mozione contro la Cancellieri, mentre il pavido Pd, stuPd, Pdement, si nasconde sotto il tavolo. E sbattersi per farla sostenere, e non riuscirci. Mentre altri si fanno belli con dichiarazioni senza sostanza e senza peso, cambiando verso in continuazione.
Trovo Civati chiaro, nitido, conseguente in ogni punto: non ha mai smentito nulla di quel che ha detto, non ha mai fatto retromarcia per opportunismo e a favore di telecamera.
Ha le posizioni più nette – lo dico perché è una cosa che mi sta molto a cuore – sui diritti civili, che sono il campo minato dello stuPd, infestato di cattolici e battipetto, binettato pesante.
Ha un’idea vera di partecipazione.
Fa le battute perché è ironico e intelligente, non perché gli servono gli slogan: il suo linguaggio ha l’articolazione del pensiero, non i fulmini dello spot.
Insomma, ho sempre pensato che se Civati non fosse del Pd sarebbe il mio candidato perfetto.
E poi mi sono detta: ma le cose possono civatare, civatandole? Chissà.
Così domenica andrò a votarlo.
Hai visto mai.
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