
Il paese s’ormeggiava al mattino di festa. Nuvole cinquecentesche attraversavano il cielo, galeoni in pompa magna, mentre in chiesa drizzavano i teloni di damasco per la Sacra Rappresentazione. L’odore delle mandorle tostate viaggiava basso per i vicoli, assieme allo zolfo dei mortaretti.
I consiglieri comunali passeggiavano in piazza, luccicanti di brillantina e virtù civica, mentre nelle case le donne – certe donne angelesse dalle braccia pelose e gli occhi di giglio chiuso – provavano gli scialli frangiati facendo mezze giravolte e ridendo con le labbra rosse.
Il Cristo Lungo era appoggiato alla parere dell’abside, magro e nodoso nella sua solitudine di ferro battuto: l’avrebbero portato, di forcella in forcella, a forza di braccia, fino alla Chiesa delle Anime del Purgatorio, e poi indietro, per propiziarsi un altro anno senza terremoti, senza siccità, senza capricci del re.
Nella casa dell’angolo, dove gli stucchi erano caduti e i marmi s’ammalavano d’una ruggine color disperazione, zia Matilde si vestiva svogliata: lei non voleva uscire mai in strada, nemmeno per la festa. L’innervosivano, le facciate irregolari che scantonavano nelle vinelle, gli usci incerti, i battenti di legno logori. Le ricordavano che la città era lontana, e lontana era l’altra vita, quella delle feste in Prefettura, del taffetà che strisciava sull’impiantito, dell’odore di cuoio e panno delle carrozze, dei cristalli nella sala grande. No, voleva restare sola, nella penombra dove i ricordi e le speranze erano stesi come arazzi un poco ammuffiti.
E c’era pure il rischio che zia Matilde incontrasse il suo fidanzato d’una volta.
Ferdinando aveva le sopracciglia unite al centro e uno sguardo da lupo. Non che mancasse di fascino, anzi piaceva persino a nonna Rodolfa, che ci aveva fatto un pensierino, su quel futuro genero d’un bruno ardente orlato di rosso. Ma Matilde aveva detto di no proprio per lo stesso motivo. Avrebbe voluto un fidanzato di legno e corda, lei. Un fidanzato preferibilmente zitto, oppure capace di melodie mai sentite prima. Un fidanzato con un odore asciutto d’abete rosso. Un violino, in pratica.
Ferdinando era piuttosto un contrabbasso, e in quanto tale piaceva particolarmente a Rodolfa, che – come dire – per gli uomini aveva orecchio.
Pure Ferdinando non aveva smesso di pensare a Matilde: più che amarla, la voleva castigare, il che per certi uomini è quasi lo stesso.
Quella mattina si presentò alla casa d’angolo, e cominciò a chiamare Matilde a voce spiegata. Sapeva che si sarebbe affacciata solo per farlo star zitto.
“Matilde, vieni alla processione con me” le urlò con passione maleducata appena lei s’affacciò, pallida, dalla finestra sopra lo stemma di famiglia. I leoni di pietra senza unghie contemplavano il giglio marcio, ed era tutto quello che restava.
“Nemmeno se lei fosse l’ultimo uomo al mondo” rispose a labbra strette Matilde, pensando che, tanto, per lei quello non era nemmeno un uomo e non c’era pericolo.
“Matilde, mi piaci di più quando fai il broncio” urlò lui, più per la piccola folla che s’andava raccogliendo che per lei.
“La smetta e vada via, o chiamo la forza pubblica” replicò nervosa Matilde, e la voce le si strozzò in gola. I leoni di pietra restavano zitti, la folla frusciava d’approvazione.
Lui rivolse al suo pubblico un sorriso luminoso e feroce, poi si voltò di nuovo verso i leoni – le criniere erano tutte buchi.
“Matilde, scendi che ti mostro cos’è, il primo uomo del mondo”.
“Se ne vada a mostrare altrove i suoi talenti da scimpanzé” rispose ancora lei, la voce stridula che s’impennò sull’accento e fu quasi un singhiozzo.
La folla mormorava, perché attendeva il gran finale, e Ferdinando non poteva permettersi gli scuri chiusi in faccia senza un’ultima parola. “Matilde, se non vieni con me è meglio che te la cuci col filo di ferro”. Lo urlò, e tirò dentro la casa – con perfetta gittata – un pezzetto di filo di ferro, che rimbalzò sulle tavole del pavimento con un rumore allarmante.
Matilde lo raccolse, e lo tenne davanti agli occhi, attonita. La folla tratteneva il respiro, i leoni sembravano scossi e anche Ferdinando non sapeva bene cosa aspettarsi. Nessuno lo sapeva, con Matilde.
Lei entrò in casa. E se la cucì, davvero.
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