Quando il dibattito politico si fa duro, allora occorre farsi una doccia fredda e riflettere (no, non ricoricarsi nel lettone di Putin).
Signori, la patonza è una cosa seria, serissima. Tutta la mia generazione, e un paio d'altre dopo (come sapete, le generazioni sono ormai velocissime: in dieci anni ce ne sono anche tre in fila)(no, non dietro la porta del Papi) credeva di aver cambiato, a se stessa e al resto del mondo, la percezione della patonza.
Da bene-rifugio a bene condiviso. Da bene familiare trasmissibile con regolari sponsali e/o compravendita a libero bene in libero amore. Da moneta di scambio e occulto progresso sociale a moneta del Monopoli, ovvero spendibile a scopo unicamente ludico e ad alto tasso di reciprocità, comprando gli unici beni, per definizione, senza prezzo (dunque di solo valore): amore, piacere, gioia, condivisione, scambio.
A cavallo delle patonze liberate siamo volate davvero per ogni dove, e anche da nessuna parte: siamo rimaste a fare le fidanzate, le mogli, le madri. Ma una patonza libera è libera per sempre, e dà lezioni di libertà. A chiunque.
E la sua – la nostra – vittoria principale era stata proprio l'abolizione del mercato. La patonza per noi è letteratura, sentimento, emozione, corpo, conoscenza, ironia, immaginazione, passione, gioco, bellezza, identità, valore. Qualunque parola che non sia "mercato". E non c'è mercato per il non-mercato. Per fortuna.
Ma la lezione di libertà (e non di liberismo) della patonza non è arrivata ovunque, o forse i tempi maledetti dalla tv e dal mercato – l'orrido mercato globale che ci avvolge, anche qui mentre crediamo di scrivere su liberi tasti in libero web, il mercato totale a cui questo mondo di Borse e caimani tende asintoticamente – hanno lavorato contro le cose per definizione più fragili e colossali di questo mondo: le cose senza prezzo. Le cose che bisogna sudarsi e non comprarsi.
Ora quell'individuo che alligna a capo del nostro governo ha pronunciato, senza saperlo, la parola (perdonatemi per il campo semantico) chiave: patonza. Ma l'ha pronunciata nella sua lingua disgustosa, non nella nostra.
La lingua del prezzo, degli affari, degli interessi. La lingua di suoni gutturali e gestacci. La lingua degli esercizi di sottomissione, della prostituzione intellettuale e fisica. La lingua che non avvicina, non comprende, non immagina.
Caro premier, la patonza gira. Meglio, la patonza si gira, quando Lei passa, e fa una smorfia di disgusto. Lei non capirà mai la patonza, si rassegni. Penserà di comprarla, ma sarà solo una finzione. Lei, signor premier, mi fa molta pena: vincendo tutto, o credendo di vincere tutto, non sa quello che si perde.
Una patonza libera