La donna divisa ha una vita faticosa.
Abita troppe case per curarsi del disordine, ma il suo intimo bisogno d’armonia ne soffre. D’altronde, c’è sempre un passaggio, un valico – tra un luogo e l’altro – e necessariamente è un punto caotico, in cui s’accumulano le cose. La donna divisa deve sempre scavalcare un mucchio di direzioni e strade in frantumi, quando passa da un mondo all’altro. Solleva un capo della gonna, con gesto pieno di grazia, e fa un balzo coi suoi piccoli piedi.
E’ minuta, la donna divisa, e sembra impossibile che lo sia, quando di solito le sue mani si trovano a molti chilometri dal suo volto, nella casa di qua dallo Stretto, per esempio. E’ una casa affaccendata, piena di elettrodomestici che ronzano, di libri da sfogliare che crescono negli angoli – ogni autunno mettono nuovi capitoli maturi, che a volte vengono giù e bisogna raccoglierli – di oggetti riuniti amorosamente: la donna divisa crede di raccogliere se stessa, quando mette assieme gli oggetti, ma sa che è un’impresa impossibile. E intanto il suo corpo si moltiplica, da un capo all’altro dello Stretto, da un anno all’altro, persino tra i fogli e sullo schermo: la donna dissemina se stessa con generosità, estendendo il suo vasto corpo fino ai margini della pagina, e poi oltre.
Spesso, la sua mano destra è nell’altra città, compone con cura le corolle bianche nel portafiori di bronzo, poi tocca il marmo e la foto di maiolica, menzognera e felice. Non conosce molte altre preghiere che non siano quel breve calore imposto alla fibra refrattaria del marmo. Nel piccolo cimitero gli angeli vegliano assorti, immersi in pensieri di pietra.
Intanto, le sue gambe sottili percorrono le strade aperte, da questa parte del mare – la parte dell’alba miracolosa e delle nuvole blu cobalto. La città inghiotte i suoi passi, li rumina nella pancia d’asfalto e bitume, e lei corre per arrivare a fare ogni cosa, perché le strade cambiano dimensione ogni giorno e non c’è luogo che disti la stessa distanza.
Lo scolaro – che oggi ha cominciato un altro anno – tiene per sé il braccio sinistro della donna, intero. Lo vuole attorno alle spalle, per decidersi a varcare la soglia e non sentirsi solo, lì dentro. Vuole il polso sottile con l’orologino di metallo, per guardare l’ora della campanella. E’ piccolo, lui, ma conosce già il tempo diviso, che scorre diseguale tra i mondi.
Guardando orologi contraddittori, anche la donna divisa avanza: è a casa delle zie, a una certa ora, in Aspromonte, a chiudere le bottiglie di salsa di pomodoro – si fa ogni anno, è l’augurio e lo scongiuro per l’inverno, dentro ci sono una quantità di gesti necessari, spezie, affetti, cipolla, lavoro, basilico, rancori sottilmente affettati, sale, tenerezze.
Cinque minuti prima è seduta alla scrivania, a rosicchiarsi un’unghia e cercare un aggettivo. Intanto sta rifacendo i letti, comprando l’acqua e il pane, leggendo il libro di un’amica spagnola che le apre piccole bruciature felici sulla pelle. Quando il capufficio la chiama, lei risponde: “sì?” e si gira leggermente sulla sedia, voltando le spalle alla spiaggia deserta dove ha steso l’anima sulla stuoia di spugna, per tutta la mattina. E’ la spiaggia del Faro, che è inclinato nella luce nero turchina di settembre e beve già dall’autunno. L’estate della donna divisa a volte dura fino all’inverno, o viceversa.
Sovente si trova nel passato, la donna divisa: all’angolo del marciapiede si guarda camminare, dieci o quindici anni prima, e vorrebbe dirsi qualcosa ma non può, perché la voce è da qualche altra parte, dal momento che non si viaggia mai interi, nel passato. Se si specchia nelle vetrine, vede i pezzi che le mancano, che ha lasciato più avanti o più indietro, o che non le hanno ancora restituito: c’è qualcuno che possiede da anni pezzi della donna divisa, e nemmeno lo sa, o non se ne cura. Sì, certo, i pezzi ricrescono, attorno ai polsi la corteccia gira ogni anno un giro nuovo, ma restano i nodi dei rami tagliati, restano i vuoti, restano gli arti fantasma che nei giorni di scirocco s’agitano per conto loro.
Le labbra della donna divisa spesso indugiano su altre labbra, per fortuna, e lei chiude gli occhi, dovunque si trova, per raccogliersi tutta in quel tocco: sono i trucchi della donna divisa, la sua resistenza. Come le fotografie: la donna divisa ne porta dovunque, anche se lo sappiamo tutti che sono bugiarde, pezzi di pezzi, pezzi di corpo dentro pezzi di tempo, e dividono ancora di più. Ma lei spesso indugia sugli album, o attacca le foto al muro con le puntine.
Intanto raccoglie i panni stesi, e chiude una mail con un punto interrogativo, o forse era uno sguardo, o un panino al prosciutto. Ascolta con attenzione la musica, che però è come il tempo, un coltello, e divide il cuore con solchi profondissimi.
Deve anche comprare i pomodori, quelli cuore di bue che palpitano nella mano, perché vuole regalarli all’amica con la quale, da mesi, baratta solitudini profumate, spille di strass, insalate di pomodoro, conversazioni, collezioni di pietre, carezze al cuscino.
La donna divisa va al mercato dei pomodori, al mercato delle solitudini, al mercato delle pietre, al mercato delle carezze.
Non compra mai tutto quello che le serve. Qualcosa resta sempre fuori.
A volte lei pensa che è la vita, a essere divisa, e per restare interi bisogna seguirla cosi com’è, da ogni parte.
Questo perché ci sono giorni che dovrei essere tre o quattro, e nemmeno basterebbe. Vorrei cinque, ventisette, duecentootto, trentamila vite. E mi sentirei ancora più scema e divisa.
“La donna divisa va al mercato dei pomodori, al mercato delle solitudini, al mercato delle pietre, al mercato delle carezze.
Non compra mai tutto quello che le serve. Qualcosa resta sempre fuori. ”
e dal fauvismo ci avviciniamo con lo scorrere del post, all’impressionismo: immagini che da lontano sono fotografie e da vicino un miscuglio di colori, impensabili per descrivere una donna. molto bello 🙂
(e c’è anche, non dimentichiamolo, una velocità futurista)
Ma io non penso che lei desideri aver duecento vite.
Io penso che le abbia già.
Che le viva già.
Sono forse trecento, a ben contarle, ma sa com’è, le vite si muovono e si mescolano e si rincorrono, ché son fanciulle, le vite, sempre, anche all’ultima ora, e giocano come bambini nel cortile di scuola, e non vogliono sentire quella campanella – così, dicevo, saranno forse trecento, le vite, ma chi riesce mai a metterle in fila, a due a due, per mano, in bell’ordine, ferme, petto in fuori e pancia in dentro, per contarle con precisione tutte quante?
Qualcuna si figuri – la più renitente, la nostra preferita – sarà vita anche dopo e senza di noi.
mentre con un occhio seguivo le rifrazioni e i frammenti della donna divisa, e con l’altro scrutavo il farsi e disfarsi dei grigi nel cielo, ho dovuto scavalcare col mio, ahimé, non più agile piede, il lago che dalla lavatrice silenziosamente scivolava lungo il corridoio a occupare la casa – a dividerla forse (altro che stretto!) in due ale separate, lontane, come nella deriva dei continenti – e con qualche altro arto, apparso provvidenzialmente non so se dal passato o dal futuro, raccogliere stracci e giornali e far argine alla piena.
Ora ho ritrovato la mano giusta per dirti che questo tuo post mi ha fatto pensare al tuo amato Dalì.
La donna divisa è come una stella; un cuore pulsante e tante braccia che si protendono a raggiungere le vite di chi la circonda. E ne riportano indietro mille frammenti – di foto, o risate, o tempo diviso che non trova modo di moltiplicarsi ancora.
Perché le dita (e le vite) non bastano mai, forse, ma in fondo sono le punte di una stella sola.
O forse no.
che dirti, pispa: siamo quadri impressionisti, e si fatica a tenerci assieme. ma da lontano facciamo la nostra figura.
Herr Effe, la velocità futurista è solo un altro nome dell’immobilità. E, se devo essere sincera (ma ci saranno vite apposite, suppongo), mi preoccupano di più, di tutte le nostre, le vite che proseguono allegre senza di noi durante noi.
arden cara, non per nulla siamo avvezze a scomporci – ovvero, non ci scomponiamo per il doverci scomporre di continuo – e le case, che lo sanno, se ne approfittano. E ti confesso che la prima scelta, per illustrare questo post, nelle brume di questo lunedì mattina, fu proprio Dalì, “Galatea delle sfere”, donna divisa in tante monadi di donna. Ma quando l’appizzai lì, nel cielo a righe del blog, mi sembrò talmente vera, talmente particellare da risultarmi angosciosa, e la sostituii con un più lievemente molecolare Seurat (che pure centra questa consistenza di nube d’elettroni cromatici che talvolta siamo).
riccio, hai ragione, e lo conferma la tua natura di riccio-stella: non bastano le dita per toccare tutto quello che dovremmo toccare, e che ci tocca.
La donna divisa, è mille donne che ne abitano una sola, e a ognuna manca qualcosa e la cerca, disperdendosi, nei rivoli del tempo, nei frammenti delle vite degli altri.
Ma come i frammenti di uno specchio, non può ricomporsi ma solo riflettersi mille, diecimila volte.
Forse se non fosse divisa non farebbe tutto quello che fa
Cosa divide la donna divisa?
Tutte le direzioni da prendere.
Che sono una buona cosa, una buona fortuna… ad avercene!
Ad avercene direzioni!
C’è chi sta là, fermo, neache le vede, neanche ce le ha.
C’è chi sta tutto intero intero, fisso in un punto che non è mai l’attimo, ma sempre il suo contrario, un non tempo che inghiotte, mentre la vita passa altrove. C’è chi sta tutto intero, senza sapersi che dire, senza sapersi ascoltare. Ed ha una
vita apparentemente riposante, così piena di nulla.
Cosa appartiene alla donna divisa?
Tutte i mondi a cui appartiene.
Case, sponde, cimiteri, telefoni, mail, zapatos, baci, zucchine, pomodori, gonne, nuvole, angeli, cuscini, draghi, parole, pizze fatte in casa, capodanni di Settembre, libri lasciati cadere, fratelli, diffidenze, dolori di stagione, sconfitte premeditate, battaglie da perdere, spiagge, capuffici, leviatani, mp3, fantasmi belli, fantasmi brutti, bugie superflue, fotografie, rosetti da milonguita, sassi, ripensamenti,amici perduti, amici trovati, compleanni, esagerazioni, ambrogi, necessità, rancori cosmici, risacche del passato, risacche del futuro, messe in piega, finzioni, verità splendenti, lividi permanenti, omogeneizzati, coltelli, affittuari, dondoli, ferite allegre, chitarre resuscitate, ostinazioni, palpiti, insofferenze, cuscini, santini, tempi e controtempi da tenere prima che la battano. La donna divisa non riesce a vedere i pezzi di questa sua unità, proprio come quelli che non capiscono Picasso; ci vuole occhio e testa, e tutta un’altra estetica che non preveda che tutto sia lì al suo posto, proprio dove vuole l’occhio e la sua pervedibile chimera d’unità.
La donna divisa ha una bella infelicità ed almeno quattro paia di scarpe da tango!
La donna divisa al mercato sa scegliere bene, compra sempre tutto quello che è “buono” anche se poi si racconta che non è quello che le serve. In effetti la consola sapere che ciò che le serve sia sempre fuori, come un altro pezzo da trovare, un altra direzione da seguire.
La donna divisa ha solo difficoltà polifoniche, qui e ora. Per questo parla tanto, per non ascoltare tutte le voci che la abitano.
La donna divisa canta qualche volta, con un unica voce di fringuello, e allora finalemente riesce a saperlo; nel breve momento del suo unisono sa che, in fondo in fondo, non è davvero questione di tempo e di vite da
aggiungere. Sì, lo sa bene che la vita che passa non è mai altrove.
Finchè dura il canto, lo sa.
Guarda i lati positivi: le donne tutte d’un pezzo sono noiose.
Meglio le donne rompicapo. A patto di ricordarsi dove sono tutti i pezzi.
Preziosi questi pezzi che compongono “la donna Divisa”e al tempo stesso specchio di altre donne divise anche da sé in qualche modo,dal tempo-spazio… e se ne vanno in giro, a volte,a ricomporli così per non perderseli poi tutti.
Bisogna trovare l’aggettivo giusto ma mi manca per definire la tua scrittura che si espande,occupa spazi intimi e fissa sensazioni rare;non manca niente e non é virtuosismo mai ma scorrere rosso e appassionato e lieve e furioso e poi ancora calmo di emozioni.
Piena di sapori e odori e tinte così calde che l’animo si schiude proprio come la tua anima distesa al mare sopra quella stuoia.Grazie,Anna,davvero!Un abbraccio,Ida
Le donne divise lascian pezzi di sé in giro.
Gli uomini albero li trovan per terra, li osservano in controluce, se li ficcano in testa come fosse monetina.
Sono buoni auspici per il giorno dopo.
Quale il mastice capace di ricondurre ad unità, crepata giara pirandelliana, la donna divisa? Uomini-mastice c’hanno provato, forse. Ma il compito è irrealizzabile. Lo è? E perché mai dovrebbe essere realizzabile?
L’immagine mosaico della donna divisa si compone lungo il flusso delle parole, tessera per tessera. Sfondi di blu profondo o d’oro antico; tratti netti o sfuggenti (rapidi), concretezze estreme alternate a soffi, nuvole, vapori.
Non divisa in frammenti, ma moltiplicata da sfaccettature; non mutilata, ma affollata di immagini.
Divisa nello spazio e divisa nel tempo.
Ricca, come la scrittura che la dipinge.
ah! ah! ah! “Uomini-Mastice”!
ah! ah! ah! questa è davvero buona! Questa me la segno!
ah! ah! ah! … la metto nel catalogo degli ossimori divertenti… con su permiso, Giocator! AH! AH! AH! davvero, davvero divertente…
😀
Gli Uomini-Mastice sono Uomini-Maciste, Farolit, s’intende.
Ed esistono, fuori dall’ossimoro, esistono, le assicuro. Nel bene e nel male. A doppia lettura. Ma lascio che sia ManginoB. a farne appropriata, eventuale, immaginifica descrizione.
😉
Nottedolce, la vita si specchia nei frammenti di specchio della donna divisa. Cissà se si trova intera.
esattamente, briciolanellatte, l’ubiquità è una dele proprietà della donna divisa, cioè di tutte le donne.
Hermana farolita, le difficoltà polifoniche sono una cosa geniale. E anche il suggerimento per voce sola (ma la donna divisa non è mai sola, ha sempre pezzi di cuore sparsi ovunque, e alcuni stanno per certo in case con bandiere alle finestre e brillocchi nelle scatoline e isotte sotto i tavoli e parole interminabili nel paroliere dell’anima), che, solo, poteva venire da te, alla donna divisa. Negli andirivieni del cuore, esiste solo la moltiplicazione, mai una sottrazione, nemmeno una. E come esistono le donne divise, esistono le donne moltiplicanti, certi moltiplicatori del cuore, del cielo, delle nuvole e delle parole che sono imperdibili. Come te.
aquatarkus, molte donne – per citare farolita – sono dei Picasso agli occhi degli uomini, anche se loro stesse si sentono dei Monet, e probabilmente lo sono. Sono rompicapo apparenti. E comunque gli uomini, ahimé, lo dico per esperienza, spesso perdono i pezzi.(però onore al merito, per aver ammesso che rompicapo è meglio. e complimenti per la Gioconda: Duchamp è morto d’invidia…).
Ida, le donne divise talora sono divise per essere unite a tutti coloro che amano – se stesse incluse – a tutto quello che amano, con l’ubiquità necessaria. I loro pezzi vorticano in giro, sono turbini riconoscibili, e spesso io li intravvedo nelle scritture, specie le scritture femminili. Magari di pane di grano duro.
atvardi, sono rari, gli uomini albero, e rari gli uomini che accettano un pezzo della donna divisa così, per buon augurio e argento che canta. Ma se lo fanno… se lo fanno…
suvvia, Giocatore, non è cosa da uomini riunire le donne divise. e gli uomini mastice – e qui concordo con hermana farolita – spesso tengono insieme solo se stessi, con uno sforzo che non si giustifica. no, nessuno, se non lei stessa, e forse nemmeno, non sempre, può riunire la donna divisa, che è solida come uno sciame d’elettroni, come la materia che – lo sappiamo – pullula d’atomi ed elettricità, ed è una nube, in fondo. Epoi, è – appunto – un compito insensato e irrealizzabile: il pulviscolo di donna – che non è terracotta, non è legno, non è pietra, non è nemmeno giara rotta, perché nulla si può infrangere, in ciò che è diviso – danza nella luce, nella sua interessa. Nel canto. Nelle parole – che pure loro sono pulviscolari e divise. Chi vuol essere mastice deve, semplicemente, disfarsi. (e chi vuol essere maciste, ahilui, se ne vada in palestra…). ciao giocatore (che è uomo di ricuciture, affettuosi rammendi, rabbocchi e ricomposizioni, ma non deve farsi fuorviare dalla divisione della donna, che non è la sua infelicità, ma la sua condizione).
Arimane, dici bene: non mutilata. Non sono mutilazioni, ma rifrazioni, disseminazioni, vaporizzazioni. L’eterno paradosso del pensiero che divide ciò che vuole pensare unito. Come gli incipit che dividono, in apparenza, una storia dal mondo delle storie, per farla esistere (consiglio a naviganti: andate nel suo blog tutto di incipit ed explicit. è una storia raccontata eludendo la storia. una storia divisa)
Mi hai fatto pensare a quanto sono frantumato e sparpagliato io.
Vorrei scrivere un lungo commento affettuoso, anzi amorevole, ma preferisco rinviare a quando sarò meno stanco e potrò… affrontare il tuo giusto risentimento.
Da(l) nordest, con sentimento.
ps
Guarda che ti leggo sempre. Non potrei fare a meno di leggerti.
Di una donna divisa come quella che racconti mi basterebbe essere una fibra un gesto un atomo
molto, molto bello.
te lo scrivo da un luogo che ha scrivania e fascicoli, mentre altri pezzi si sparpagliano qua e là. alcuni li ho perduti stanotte, sono saliti su treno che arrivava al confine. l’uomo diceva che non ne avrebbe fatto commercio e li avrebbe custoditi con cura.
io non so.
forse ricompariranno al mercato nero.
con un braccio che arriva oltre lo stretto, ti scompiglio i capelli.
ciao, anna.
Se lo fanno, come diceva nonno Vincenzo, non ci son cazzi che tengano.
non si potrebbe essere diversamente noi donne siamo divise per definizione tra maternità e seduzione, tra estetica e razionalità, tra furbizia e dabbenaggine e si potrebbe continuare all’infinito
basta che non consentiamo che si prenda la parte per il tutto…
A leggere il titolo del post, si pensa immediatamente a una personalità schizoide (come la mia, per intenderci): a vari pezzi, o a vari io, che tra loro non comunicano e non si riconoscono. A me sembra, invece, che la donna minuta di cui parli sia un’identità unica ma diffusa, una piccola donna che allunga i suoi arti come pseudopodi per raggiungere diversi luoghi, che è presente col cuore e con la mente di là dello stretto e anche di qua. Ti vedo come una donna iperattiva che riesce a bilocarsi (trilocarsi, ecc.), e mi stavo chiedendo se tu non sia in grado di suonare al mio campanello mentre sei al lavoro, o di telefonare a un amico mentre stai stirando la camicia del consorte senza confondere il telefono col ferro da stiro. Tu sei qui lì, insomma.
Ben diverso è il mio essere diviso. Mi sento diviso nel senso di Laing (“l’io diviso). Perché io voglio e disvoglio, un giorno faccio la dieta iposodica e l’indomani mi abbuffo di insaccati, vado a destra mentre vorrei andare a sinistra, amo una donna e la insulto. Sono qui o lì, a sud o a nord, a giorni alterni. E nessun varco collega i due mondi. Per esempio, se ho conosciuto una persona mentre abitavo qui, quando vado lì non so più ch sia, ne dimentico persino il nome; e viceversa. Per questo mi porto sempre appresso carte, lettere, foto, promemoria. Ma a volte accade che perdo i bagagli, o che il portatile non funzioni…
Sono molto contento di essere tornato e di aver ritrovato e riconosciuto il tuo meraviglioso blog. E spero che tu voglia essermi ancora amica.
tuo per sempre, ma non dappertutto
errata corrige.
….ho saltato una ‘e’: col ferro da stiro. Tu sei qui E lì, insomma….
ora ci vuole una storia di donne divise e uomini tutti d’un pezzo (dei quali un tempo, pare, non vi fosse carenza)
fuoridaidenti, non c’incanti. tu sei un capitalista di atomi.
Flounder, ti ho sempre pensata come una donna divisa: una mano qui, un pensiero lì, e uno scialo di atomi come viene viene, alla faccia del mercante in fiera e del mercato nero. che quello che si può si ricompra, quello che non si può si reinventa.
atvardi, tuo nonno Vincenzo diceva la stessa cosa di mia bisnonna Carmosina.
ilprimopasso, sono perfettamente d’accordo. e aggiungo una cosa molto vera che m’ha scritto una mia amica: “poveri uomini, che volendo una sola parte d’una donna devono accontentarsi d’una donna intera”…
Proteus, sai che ti voglio bene lo stesso (anche se, oltre cariddi, ti sei scordato di me). E comunque, mi corre l’obbligo di fare 2 (due) precisazioni: 1) io non sono assolutamente iperattiva, anzi. Ho una pigrizia congenita per la quale sono sempre stata fustigata, fin da piccola (vengo da una famiglia di donne senza sonno, senza divani, senza perdite necessarie di tempo). la divisione, anzi, nasce dall’impossibilità, mia, di essere tutta dappertutto, nello spazio: se fossi iperattiva sarei poca dappertutto, nel tempo. diciamo che l’ubiquità è una necessità dei pigri, non degli attivi.
2) io parlo al telefono facendomi la doccia, farcendo il tacchino (con mele e sedano), stendendo i panni, stirando no che stirare è un’attività metafisica non compatibile con le parole (io stiro quando devo pensare a qualcosa molto intensamente), e comunque non stiro più le camicie del consorte da quando non ho più il consorte, e lui, d’altronde, non ha più le camicie (in un impeto di giustizia distributiva gliele tagliai tutte a striscioline).
felipe querido, gli uomini tutti d’un pezzo li hanno finiti tutti da un pezzo. e le donne non possono che dividersi, ormai.
Brioscina, non so tua bisnonna Carmosina, ma nonno Vincenzo esisteva davvero.
Meriterebbe un blog a sé. Fumatore di pipa, la voce che andava per campi, assente come solo certi padri sapevano essere.
Ho scoperto ch’era mio nonno quando è morto.
altroché se esisteva. continua persino adesso, a esistere, anche se è morta a centocinque anni, con una carnagione soave e una diretta conoscenza del diavolo.
sarebbe bello, un blog tutto per loro.
Credo che ogni siffatta donna divisa nasca da un’altra donna divisa, ereditando la specificità in tutto o in… pezzi, irrecuperabili. Non sempre questa eredità è un bene…
a ben pensarci, non credo allora alla donna divisa, quanto piuttosto alla donna moltiplicata e moltiplicativa.
Ella s’avanza, e ogni volta che il passo sfiora terra, nascono germogli e vite e sogni e pistacchi e ingorghi in centro (anche in ordine inverso)
Ogni volta che alza l’indice vorticano mondi e scadono cambiali.
E quando apre pigra gli occhi, allora succede che anche la gente finalmente veda, e sappia, ed esista.
Più o meno così (io, poi, che ne posso sapere)
La donna frattale.
Mi chiedo se la moltiplicazione non sia, sotto sotto dentro dentro, che una divisione all’ennesima potenza.
ugh! lì sopra sono caracaterina, sloggatissima.
donna divisa, credo che tutte le donne lo siano in fondo, e lo siano state, nella quotidianità nell’arte, nelle istituzioni e nelle tradizioni.. solo che forse qualcuna si è po’ più spezzata nella vita o magari ha solo uno sguardo in più dentro di lei, d’altronde si dice sempre che ci sia donna e DONNA.
Di passaggio, complimenti per il blog,
Elle
chebarbachenoia chenoiacheabarba…
cheblog-gramo chegramoblog…
😉
C’è che si vive nel dispendio granulare: atomi (nel mio caso anche neuroni) in fuga, lontani da ogni collante, nel sogno frustrato dell’ubiquità imposta, nella coscienza di sensi d’inadeguatezza proliferanti come funghi….
eppure alla ricerca di altri specchi (magari occhi di rana) in cui raddoppiarsi a scheggi o ridividersi in unità discrete, che è poi la stessa cosa.
Mi sa che io e la donna divisa abbiamo qualcosa in comune…!
me lo chiedo anche per me, manginobrioches.
sulla lunghezza dei post, che è questione di lana caprina e senza spessore, sembra.
solo che io un romanzo posso farlo fuori in poco tempo e anche scritto a lettere piccole piccole (non so, ne ho il corpo in mano).
un post, no, anche quando è bellissimo come questo, come altri.
c’é qualcosa che mi disturba nella lettura, proprio.
mi è capitato di scriverne alcuni anch’io, lunghi e nello scrivere, per quanto possibile, tutto bene.
poi ripasso di lì, provo a rileggere e mi sembra assurdo aver postato una cosa così faticosa da leggere.
mi sembra di tornare indietro, al liceo, quando la mia grafia era ritenuta impossibile, piccola, oltremisura e difficile.
adesso ho la stessa sensazione dei post. ma anche di altri, non solo dei miei.
come si fa?
🙂
solotu
ps. bello, comunque.
StefaniadeBabel, da una donna divisa nascono mondi infiniti, tra cui figlie divise, e via a popolare le galassie… (Ecuba a noi ci fa un baffo)
Herr Effe, stia lontano, allora, da una donna divisa. No, dicevo per quelle cambialucce…
(e comunque è vero, come dice anche caracaterina sloggata: ogni divisione nasconde una moltiplicazione, e viceversa. mia madre era categorica, su questo punto, e con mio padre litigava spesso su un argomento preciso – tra molti di imprecisi – ovvero: tre per zero non può che fare tre. Il bravuomo ammattiva, appresso a questa cosa. Beh, io sono d’accordo. Sarà la facoltà moltiplicativa, che è ereditaria).
ciao Elle, passaggio gradito, in questo mondo di divisioni che si riuniscono di continuo (ma un link è un’unione o una divisione?)
ciao fraschetta, hai proprio ragione. ma qui si prepara una svolta: un blog bianco e fucsia, e con la cipria perlata. e poi dicono l’autunno.
Col, non capiremo mai il senso di questo continuo disperderci e rassemblarci, sia pure in uno sguardo.ma è bello, è come il pulsare d’un cuore.
reginadicarta, siamo tutte divise, in fondo in fondo e anche non, in fondo. ce lo chiedono fin da piccole.
solotu, centri un punto che non poco mi perplime. certe volte penso che non leggerei mai un blog con post lunghi come i miei. ma poi, quando scrivo, sono bulimica, e non posso farci niente. pensa che sogno un blog bianco e di aforismi, uno al giorno. magari lo chiamo “la donna divisa”.
bello… e ci si ritrova dentro.
*
Eureka ! ( beh,siamo in zona)
… forse il mio è un nuovo postulato !
Nel triangolo che va
da Trapani a capo Passero
a M.te Cresta,
data la presenza di neutroni liberi
-strettomessinesi-
c’è una “massa critica” ,
(che sarà mai ? un’ Annuzzina di materiale fissile )
che determina il seguente processo : E=mc² !
bisousacatena!
* “Archimede” di D.Fetti
ecco il dilemma:
ma è divisa, issa, in quattro o tre parti (guarda caso: parti…) oppure in miriadi di corpuscoli colorati che riuniti compongono un iride?
Io credo che sia di particelle di luce che si disperdono e poi si riuniscono,
però secondo me Seurat non amava le donne: mi pareva un po’ pitocco, ma non come il Pitocchetto, cioè uno un tantino puntiglioso, troppo minuzioso, schematico, senz’aria:
in una parola:
barboso.
( facendod eccezione per La grande Jatte)
ecco
Marius
però il Domenico Fetti è assai bello.
dentro e soprattutto fuori, cochina…
Madeinfranca, quanto mi piace questa (meta)fisica dei corpi pullulanti! Archimede aveva ragione (un corpo immerso nello stretto riceve una spinta dal basso verso tutti i lati e più, ma, dal momento che non ci bagnamo mai nella stessa acqua, sarà necessario quadrare il cerchio, 4/3 pi greco erre tre). baci divisi, cioè moltiplicati.
Mariusso, non so. Non amo particolarmente Seurat e le sue polveri, ma secondo me era più efficace, per la donna pulviscolare, del Dalì che avevo in mente e che mi sembrava (stavo scrivendo “mi smembrava”: ecco i lapsus quanto ne sanno più di noi) funesto. Concordo sul Fetti. Un Archimede a Fetti è assolutamente adatto a una donna divisa. baci
sono arrivata alla donna divisa ieri per caso, un’altra tappa in questo viaggio. Se sapessi anche lontanamente quello che le parole che scrivi sono diventate dentro di me forse ne saresti contenta. Io sicuramente lo sono. Per arrivare qui è bastato “lo stretto necessario”…le tue parole scavano. Grazie.
Dici che ci sarà un motivo se l’opera – qui in compagnia di uno dei tanti aspiranti “uomini-mastice” – si chiama L’évidence éternelle?:)
ma Magritte era appiccicoso co le fimmine,
le mesticava o le masticava?
Io non so, però era belga, è una cosa strana: anche Simenon era belga ed era personaggio singolare con apparenza borghese notevole, eppure… a leggerlo andava giù nel profondo,
anche Magritte credo,
anche Poirot,
seppure inventato da una inglese. Poirot si appiccica ai casi suoi e non molla più, ma con le donne no.
Mah
Mahrio
brunforte, grazie. lo stretto a volte è necessario, a prescindere. un saluto.
Stefania carissima, ci sono verità assolute (ancorché, come dire, divise…). baci.
Mariusso, Magritte le misticava, e le mangiava in insalata di misticanza, ne sono certa. C’è qualcosa, in Belgio: sembrano tutti normali e piovosi, ma. Mah.