Non so se a voi è capitato. A Magritte, a Bosch e a me sì.
Gli oggetti, capite. La pantofola, il pettine, il piumino. Il coltello, dio ce ne scampi. E l’imbuto? E il portacipria? E i fiammiferi? E lo scolapasta (specie quello di metallo, coi piedini e l’anima asburgica)?
Loro stanno lì, fermi, ma appena noi voltiamo le spalle cominciano a sussurrarsi cose, a cambiare leggermente di posto. Ci spiano, sognano di noi, nutrono sogni d’oggetto immensi e molto pericolosi.
Eppure noi ci fidiamo di loro, continuiamo a chiuderci in casa da soli con loro, gli parliamo, li crediamo perfettamente addomesticati, li amiamo persino. Perché sì, è vero, a parte il bancomat – che a me fa l’effetto della mano nella Bocca della verità e ogni volta cerco di dirgli paroline dolci per ammansirlo, ma resto ansiosa fino alla fine e sono convinta che la cabina di vetro fumé non mi lascerà uscire mai più e mi toccherà vivere per sempre attaccata alla macchinetta, una specie di polmone d’acciaio del credito e della punizione degli insolventi – io amo gli oggetti, e ho molta fiducia in loro, e forse non dovrei.
Perché io lo so che i libri sono insofferenti, eppure continuo a metterli in ordine sugli scaffali, mentre – è chiaro – loro vorrebbero spargersi per tutta la casa, fare radici sui tavolini, arrampicarsi sugli stipiti, essere dimenticati in terrazza. E’ chiaro e devo constatarlo ogni giorno. Ho provato a metterli in ordine per dimensione, autore, argomento, e niente, loro non ci stanno. Trovavo continuamente Leopardi nel bagno, Freud in cucina e Stephen King in qualunque altro posto. Sicché ho capito, tardi ma ho capito: i libri giocano a zona. Mi sono attrezzata, e da allora va decisamente meglio: cerco di sistemarli per peso specifico, umore e stato d’animo. Quelli pesanti, densi, con le pagine piene piene fino al bordo che qualche volta colano fuori – sudamericani, romanzi storici, fumetti, biografie, libri di fotografie, Neruda, Garcia Lorca, l’atlante anatomico e il dizionario di psicanalisi – in basso, via via gli altri in alto, fino agli haiku, Peter Handke e i libri zen che galleggiano nel vuoto dell’ultimo scaffale, appena sotto il soffitto.
Non che questo gli basti, eh. Continuo a trovarne dappertutto: Antonio Pizzuto nella dispensa, Gadda nel forno a microonde, Borges affacciato al vasistas delle scale. Però almeno.
Solo che coi libri è più facile, perché conoscono le nostre parole – se le guardano l’un l’altro, di notte, e si fanno leggere le quinte di copertina dai vicini di mensola – mentre con gli altri oggetti no.
Sicché io so bene che la matita mi guarda male, da quell’occhietto nero e penetrante, e certe volte vorrebbe beccarmi e qualche volta lo fa (ma anche le pagine – ammettiamolo – specie quelle più servili delle enciclopedie, quando siamo distratti ne approfittano per morderci di taglio, rivelando la loro attitudine di rasoi). Temo il compasso, il cacciavite americano, la prolunga dell’antenna. Adotto ogni precauzione per servirmi dello sturalavandino.
E, in fondo, questi sono oggetti d’uso. Sono molto più pericolosi i soprammobili: senza fingere servitù, senza doversi nascondere dietro la pietosa bugia d’una funzione, sono oggetti puri, ontologia applicata, l’essere per essere. Più di tutti, si sa, le bomboniere.
Le bomboniere sono un vertice della capacità creatrice dell’Homo Faber, dalla selce scheggiata in qua. A mia madre piacevano, negli anni abbiamo collezionato lumache di lustrini lunghe ventisette centimetri, cubi di cristallo rosa, infiorescenze cangianti col motorino rotante nella base, pere d’alabastro, pesciolini di vetro di murano, veneri di Milo con un orologio incastrato nella pancia.
Mia nonna, che era saggia, metteva un centrino sotto ogni oggetto: tutti pensavano che fosse per garbo e senso del bello, io so che erano incantesimi, per evitare che quegli oggetti così intensamente oggetti se n’andassero in giro a meditare vendette.
Io lo so, e voi pure: siamo circondati, e se c’è un inferno, sarà un inferno pieno di spazzole, pattine, matite rotte e soprammobili swarovski (soprattutto soprammobili swarovski).
Partecipo con questo indegno espediente alla Settimana artistica (sì, lo so, non se ne può più delle catene di Sant’antonio dei blog, ma siamo umani e inventiamo soprammobili, che cosa pretendete), dedicata al sommo e brulicante Hieronymus Bosch (scelto stavolta da Biz), che non poco inquietò la mia immaginazione di bambina coi suoi supplizi e ancor di più con le sue delizie . I miei dotti amici inventori della Settimana artistica vi spiegheranno ogni cosa delle sue fonti e della sua arte e dei suoi simboli, io mi limito a ricordare ed ammettere che mi fece pensare, due o tremila anni fa, che i mondi possono essere infiniti, paralleli e convergenti, tutto assieme. Mica è poco.
sembra assurdo, ma lo scolapasta (ieri) davvero non lo trovavo più, son passata pure dal bagno a vedere se c’era…
vedi? ho ragione.
Mi viene da sorridere, vado di fretta ma un pensiero te lo devo lasciare… A parte i centrini… confesso, tra quelli ereditati e quelli appositamente fatti (con il filo giusto, il colore, il bordo), ecco, ho una casa piena di incantesimi anch’io. Ché almeno non mi è difficile convincere i miei figli che non appena loro voltano le spalle, o escono di casa, o si addormentano, o si distraggono, i loro giocattoli fanno combutta e si scompigliano, vanno e vengono, si innamorano, si fanno i dispetti, escono a prendere una boccata d’aria, ed altro ancora. Ma poi ritornano. Sempre. I miei bimbi sanno che anche per i libri è così: ogni tanto troviamo le prove: quello che cercavamo è a posto dove ieri mancava, e sul pavimento un segnalibro che non dovrebbe essere lì. Segno dello scambio, della combutta, chessò… una carezza furtiva tra pagine o sovraccoperte, un bacio volante frusciato da una pagina di classico ad una di ricette. Mondi infiniti, altri.
:-*
Sei una brava scrittrice. Ed in effetti metti in evidenza uno dei trucchi più originali di Bosch: l’oggetto fuori-scala. L’oggetto animato, in realtà era già stato pensato. Quello fuori-scala era possibile solo dopo la rivoluzione della concezione geometrico-prospettica dello spazio.
so che ieri c’è stato un incontro con Cecchi Paone a messina per la presentazione del suo libbro, ci sei per caso stata???
Ecco vedete, io queste cose del fuori scala e della prospettiva mica le sapevo. Uno si fa un blog anche per acculturarsi, e che diamine. E deve avere commentatori migliori di se stesso, ovviamente. Grazie Biz.
Stefania, tu eri qui mentre io ero da te, a leggermi Luzi, amori ciechi e convocazioni irpine. Quanto ai libri, è chiaro che di notte o in nostra assenza ridispongono come vogliono loro la nostra esistenza sui loro scaffali. E a volte hanno gusto. Un abbraccio
Palommé, io Cecchi Paone non me lo perdo di certo, non scherziamo con le cose di rottura (diceva mia nonna).
–> Biz: eravamo incantati dall’anima delle cose che sognano… Quello del fuoriscala è uno degli incubi straordinari del mio amatissimo Magritte, e non si sa mai che avrò modo di torturarti, sull’argomento… (prima o poi) 😉
p.s. E comunque, a te che piacciono le “convergenze parallele”, tutti e due di horror vacui soffrivano, come noi. 🙂
[Tutti e due intendendo Bosch e Magritte].
Un bacio a Brioche. :-*
Se parliamo di oggetti e di parole “volanti”, poi, credo che non si possa fare a meno di citare i telefoni (portatili e/o cellulari). I quali hanno la capacità di agnuniarisi nei punti più impensabili, e poi a noi tocca seguirne il trillo, come canto delle sirene, per ritrovarli (di solito nelle fessure tra i cuscini del divano, o sommersi da riviste e fumetti sulla lavatrice del bagno. L’unico posto in cui ancora non li ho ritrovati è il freezer, ma manca poco).
riccio, agnuni è una parola bellissima, e agnuniarisi ancora più bella, anche se qui da me usiamo pure indovarsi, che io ho sempre pensato fosse dialetto e invece no, è lessico tecnico medico trasportato da mia madre nella vulgata e ora lessico famigliare.
sì, i telefoni hanno voce propria e con loro è più facile. però alcuni anni fa inventarono un portachiavi che rispondeva al comando vocale, una specie di tamagochi ma senza senso di colpa, utilissimo. a casa mia vagavamo tutti fischiando e rispondendo ai trilli: era lui che si divertiva a cercarci, mica noi…
Che tumulto in questi scaffali dell’anima! Vabbè, meglio così, anche se io preferisco la statica quiete dei miei libri, almeno quando sono chiusi. Poi, ogni volta che li apro è un pò un caos.
settimana artistica?
cos’è? tipo la settimana incom?
Magari, beneforti. Ce ne fossero ancora, di Settimane Incom…
HiddenFog, il mestiere dei libri è trasmetterci dosi di caos. (e che mi dici del Cerchio, e dei suoi Sussurri?)(avviso ai commentatori: questa frase è in codice)
Attenta però, che qualcuno, di quel portachiavi, finì per innamorarsi…
Attenta però, che qualcuno, di quel portachiavi, finì per innamorarsi…
oh madonna. lo vedi che cosa ci fanno, gli oggetti? quasi peggio delle persone…
Antonio Pizzuto in dispensa è perfetto, perché Pizzuto è indispensabile!
Però bisogna prenderlo a dispense, Pizzuto (il che non ci dispensa dal dispensare sentenze sul suo genio incomprensibile)
Ha mai notato che gli ogetti sono scogli, fari, secche, capi di buona speranza, stretti del diabolo, promontori, strelle polari e sestanti?
Volgio dire, sono coordinate geografiche, punti di riferimento per la nostra vita.
Lo sappiamo che la nostra pazienza finisce subito dopo quel vaso di murano, per dire, e che la felcità è dietro il portaombrelli, e che per ritrovare ricordi bisogna andare fino allo spremiagrumi, girare a destra e fermarsi prima del cavatappi
Stavo per scrivere un commento di elogio al suo post, ma, non ci crederà signora brioche, il computer mi ha sputato in faccia. E, subito dopo, ha fatto la pipì sulla scrivania.
Scherzo, naturalmente. Il suo post è semplicemente delizioso.
Infatti, caro letturalenta, il libro di Pizzuto, saggiamente, si dispensava da solo (ma l’autore, si sa, amava dispensarsi).
Herr Effe, ecco cos’era quel trispito dietro il portaombrelli… temo d’averlo buttato via…
shemale, forse non t’hanno detto, al negozio, che bisogna portare il pc fuori almeno due volte al giorno. con sacchetto e paletta.
Immagino che anche tu come me dia un nome agli oggetti, vero? Pinzapò la cucitrice (quella è la più portata alle sparizioni); Zangiguzago quel coso metallico a molla che serve per abbracciare le teglie roventi prima di metterle in tavola (lui invece ama giocare a nascondino nell’armadio delle pentole); Tikitaki il telecomando (l’ultima sparizione: reperito nel bagno di servizio vicino al prontomobili. Il prontomobili ovviamente stava sul tavolino davanti al divano).
La sistemazione dei libri fondata sulla pesantezza/leggerezza è assai interessante. Sconvolge tutte le regole della biblioteconomia…
Placida, io sono molto affezionata a un busto di vimini che chiamiamo Arsenio, e il pettine è, da sempre, il signor Osso. In effetti, poi qui qualsiasi cosa si perde è un trispito. Però i tuoi nomi sono più belli (specie Zangiguzago)(e poi c’è solo da guadagnarci, a tentare di cambiare canale col prontomobili…)
giorgi, ognuno applica le regole che si può permettere…
Agli oggetti non bisogna dargli troppa confidenza, dei libri non dico che quelli sono cosa a parte, fetentissima.
Cioè, uno dice, metto lo spremiagrumi qua e quello cade a terra, e uno(sempliciotto ed ingenuo) dice: sono stato io sbadato e feci cader l’oggetto!
Invece no, bisogna essere impietosi con ‘sti cosi, bisogna sgridarli preventivamente, imbrigliarli di norme e divieti e picchiarli pure, anzi tempo, come diceva il proverbio cinese per le donne: dare lezione preventiva.
Tanto loro facendo finta di niente sono maligni, maligni e corrotti, ci mentono e sono lecchini, fingono di essere la sottomissione in persona ed invece sono demoni maligni ed infigardi.
Come quel vaso di Deruta che a mia zia Angelina tanto piaceva che se lo metteva ‘ncoppa a stu mobile credenzone nella “sala” e quello maligno non aspettava altro che lei ci passasse sotto e:
ZACCHETE
in testa a lei e faceva danno grave.
Ed io a convincerla che non era un caso, che gli oggetti vannno domati e tenuti a stecchetto, in riga, con lo scudiscio.
Niente, la zia Angelina sempre mi sussurrava: Mario mio, tu sei un poco strano con ‘ste cose immaginarie, fatti curare….
E ZACCHETE
un altra volta a lei, a me no.
Io gli oggetti li domo,
li guardo di brutto,
ci trafiggo la ribellione in partenza, così se osano qualche brutto scherzo, sanno con chi hanno a che fare, scudiscio e mazza e bastone.
MarioB.
OT: sei stata segnalata sul Sunday Coon 😉
Io dovrei giacere su un centrino, forse mi darebbe un po’ di quiete…
Ricordo che quando mi facevo le canne una delle cose che mi acchiappavano di più era il fatto che spesso alcuni oggetti familiari, che avevi sempre guardato, ma non visto, apparivano con una forza di senso pazzesca.
Infatti è da anni che non me ne faccio più: parlando gergalmente, “vado in paranoia”. Farsi le canne va bene per chi ha una sensibilità da stimolare, non da tenere a bada.
Ciao, Biz
Biz, eliminare la paranoia dalle nostre vite non mi pare del tutto saggio. Le sensibilità si devono stimolare, per contratto.
sogniebisogni, io ne ho una mezza tonnellata, di centrini: dammi l’indirizzo e ti ci invado l’Indiana.
raccoon, sono onorata. E consiglio a tutti i cinque lettori del mio blog una balsamica lettura del tuo Sunday Coon (ovvero come dal Nuovo Mondo s’è vista l’esibizione del patrio silvio che vuo’ ffa’ l’americano, mmericano, mmericano…): il link stamattina non mi riesce, quindi andate qui a trovarlo da voi: http://www.raccoon.ilcannocchiale.it/
basta un’ equadoriana per farsi rompere gli swarovski regalati dalla zia, l’ equadoriana non capirà mai perchè ti mostri così euforico/a dopo che con viso da pierrot ti ha annunciato che anche l’ ultimo si è rotto. In questo momento nel mio studio, ma anche per la casa ho pile di libri e per l’ età non ricordo quelli che ho già letto, alcuni restano vergini per anni, tra gli oggetti viventi e deambulanti invece ho anche scatolette di mosche artificiali
(OT in questo periodo non sono nel nuovo mondo sono in Italia, ma non a Ravenna: stiracchiata battuta su Pizzuto) e poi naaaaaaaaaaaaaaaaaaaa l’ aragosta di Gonzalo nel microonde non scherziamo!
Non è passato tanto tempo da quando fui circondato da un gruppo di cucchiaini, bulletti da cassetto della cucina, innocui e teneri se presi uno per uno, ma decisamente pericolosi se riuniti in banda e pronti a farti uno brutto scherzo. Mi rapirono e mi portarono nella credenza. Non avrei mai pensato di riuscire ad entrare li dentro. Per due settimane mi nutrirono soltanto con latte e cioccolato. Avevo paura, volevo tornare alla vita di tutti i giorni, andare a lavoro, stare con mia moglie, cosa avrà pensato della mia scomparsa? Provai a chiedere aiuto ad una teiera un po’ snob che era sullo stesso ripiano, ma questa a mala pena mi rivolse la parola e lo fece solo per dirmi di stare zitto. Neanche i piatti e le tazzine da caffè, che andavano e tornavano da quello scaffale, vollero mai rivolgermi la parola.
Poi, un giorno del tutto inaspettato, mia moglie aprì la credenza, mi prese fra le sue mani, mi riempì d’acqua e mise dei fiori dentro. Ero stato trasformato in un vado.
Ogni oggetto è stato una persona? Ogni persona diventerà un oggetto? Cosa sarà mia moglie quando sarà il suo turno?
E cosa diventerai tu, maginobrioches?
H Bosch ha sempre stuzzicato la mia fantasia, l’ho sempre visto divertito e incuriosito, per me un genio un po’ folle.
un saluto
fabio
P.[etho o pieta]s.[?]: tu non arrivi mai in ritardo, essendo sistematicamente in anticipo…
raccoon, le scatolette di mosche onestamente mi mancano, forse ci farò un pensierino. l’ecuadoriana l’assumo subito.
fabio, il tuo lapsus (tanto per dare un po’ di lavoro a froid) è interessante: da vaso a vado. dunque, la tua trasformazione in oggetto è fuga e movimento, e non l’opposto.
quanto al trasformarsi in oggetti, la cosa mi piace tanto che ci farò un post. anche se mi sorge il dubbio che potrebbe essere anche l’opposto: eravamo oggetti? e se sì, quali?
ethos, sono in anticipo sulla prossima vita, visto che il tempo è circolare. è una bella consolazione.
ora, accadeva che in punto ben determinato della mia stanza da letto, per un certo periodo, si verificavano stranissimi fenomeni.
come ci fosse stato un campo magnetico, un buco energetico che risucchiava tutti gli oggetti che venivano posti nelle immediatamente vicinanze.
poteva trattarsi di calzini, libri, anelli, bicchieri d’acqua.
tu li mettevi lì e la mattina dopo non li trovavi più.
il fidanzato dell’epoca diceva che era una mia fissazione.
poi cominciò a perdere anche lui delle cose (ciocche di capelli, un molare, finanche il prepuzio), finché una notte scomparve risucchiato dal vortice energetico.
questa è una delle ragioni – ma non l’esclusiva – per cui non mi fido degli oggetti, soprattutto quando sono uomini. sono sempre transeunti.
il prepuzio? gesù.
Gesu’ il prepuzio non lo aveva, lo circoncisero regolarmente dopo otto gg.
appunto, stiamo parlando di prepuzi volanti.
(o nolenti)
ah, se qualcuno vede shemale, ditegli che a volte spariscono pure gli amici, come gli oggetti, e mica si capisce come e perché.
Alphaville disoggettato cioé gettato via.
Felicitazioni per la scelta combinatoria: Bosch e Magritte, ovvero gli umanisti volevano dare vita al loro spazio mentale tramite gli oggetti con cui lo dominavano. Gli oggetti infatti presero vita, in silenzio, senza farcelo neanche sapere e la utilizzarono per proprio conto. Bosch era l’ alpha, il quattrocento sicuro dei suoi simboli ultrarazionali, conterraneo del buon Erasmo che doveva dire la parola definitva sulle dispute religiose del suo tempo, infatti non disse nulla, Magritte è stato l’omega, che con la fuga nel sogno dimostrava che gli oggetti erano sfuggiti alla nominazione e andavano per conto proprio. L’umanesimo era finito, e anche se i surrealisti cercavano di dargli fiato marxistico, ancora scientifico, o nietzschiano dionisiaco, si entrava nel gran ballo delle forme mascherate dai nomi con cui qualcuno pretendeva pure di svelare qualcosa
OT contenti della vittoria degli scampoletti TV Godard-Hitchcock+texas ranger+EZ Street oscarati? io sì le checchine cowboy in quanto amore outdoors mi annoiavano ..
nel carso… c’era la neve
e il fumo…. saliva lento
chissà poi se si deve
vivere e morir contento
morir contento e innamorato
dopo che tutto hai lasciato
Gli oggetti in realtà ci avvisano: loro sanno come va il mondo e cercano di annunciarceli, gli avvenimenti, ma noi siamo così goffi e ottusi che la loro capacità oracolare quasi mai la comprendiamo. Ogni loro mossa, nascondimento o spostamento è in realtà segnale, baromentro, presagio: quando si ruppe un grosso vaso candeliere regalatomi da un fidanzato (oggetto orrendo, va detto, e questo aveva già instillato più di un dubbio sul futuro della relazione) seppi che la storia sarebbe finita prestissimo, cosa che puntualmente accadde. Da allora, in caso di necessità metto in pericolosissimo bilico sugli orli di scaffali gli oggetti che voglio che si rompano.
Per non parlar poi della fanciullesca voglia dei libri di giocar a nascondino, spostarsi, mimetizzarsi in modo che tu continui a cercarli e non li trovi.
Eppur l’ho messo là ti ripeti incredulo e colto dalla stanchezza o costretto dal poco tempo lasci perder la ricerca e ripieghi su qualcossa altro
Non so niente di settimane artistiche. E so invece molto di oggetti smarriti E so anche di giorni smarriti, come questi miei persi dietro gli oggetti da sistemare, i libri da conservare, cercando un posto dove il posto non c’è (di alcuni ho fatto mensole e tavolini, cercando di non farmi mordere da quelle famose enciclopedie che, oggi, sono le più bistrattate). Libri da recuperare, tempo da recuperare, pace da recuperare.Vedrò di fare in fretta…
i fazzoletti sporchi
sono viziosi,
anche oziosi,
si nascondono
sotto i letti
per far porcherie,
all’insaputa delle zie,
per poi farsi ritrovar
al fondo dell’armuàr,
piangenti
e pentiti sedicenti.
Con loro non bisogna essere indulgenti:
sbatterli in varicchina
e lasciarli a mondarsi
fino a mattina.
MarioB.
io mi perdo spesso l’automobile, ma è colpa dell’incipiente demenza senile e del disordine dell’arredo urbano. i libri no, quelli hanno effemeridi cicliche che me li rimettono sulla scrivania.
ciau,a.
A me piacciono molto i libri che si leggono l’uno con l’altro, e non solo i risvolti di copertina: i libri che si introducono l’uno nell’altro, che mescolano le pagine e si tengono stretti, che si baciano aperti l’uno sull’altro sui comodini, che a volte si nascondono e scompaiono dentro qualche altro.
i libri stipati negli stipi
consumano coiti consentiti
acc… ecco perché stamattina non ritrovavo gli occhiali…
e dire che me la sono presa con la mia compagna…
acc…
Oggi ho perso il taccuino degli indirizzi, ma e’ stato un lapsus froidiano non una ribellione s/oggettiva…
allora:
alphaville è impossibile gettarlo via, ne sono certa. quanto alle scelte, non sono scelte, sono evidenze: con buona pace degli umanisti, uno spazzolino, o un sifone, o una matita sono la misura di tutte le cose, altroché. (e qui, incongruamente, mi viene in mente Wittgenstein – non ho ancora fatto colazione, sapete – quando dice che “l’unica cosa della quale non si può affermare e nemmeno negare che sia lunga un metro è il metro-campione di Parigi”)(l’unica cosa della quale non si può affermare e nemmeno negare che sia la misura di tutte le cose è l’uomo)(la donna, invece, no).
raccoon, degli oscar so poco. in effetti Crash m’era sembrato bellissimo (ma io nutro un’insana passione per le storie tutte suture), e pure la piega delle labbra di Murrow-Strathairn, viceversa ho visto solo pochi fotogrammi di Capote e dei cowboys e m’è venuta la glicemia alta, che ho dovuto mangiare capperi di Salina per una mattinata.
sphera, vivere per presagi, o provocarli, mi sembra grande prova di saggezza.
Bustrofedon, Anna e Marius, è proprio vero: sono libridinosi, si sa. Però questa dei libri a scatole cinesi, uno dentro l’altro amati, mi piace tantissimo, Anna, ed è vera: si accoppiano e figliano altri libri.
setteparole, esiste un apposito Ufficio smarrimenti? Se sì, quanto è lunga la coda? Se sì, quanto tempo dovrei passarci?
almost, sempre a dare la colpa a noialtre…
sogniebisogni, oggetti e inconscio, ovviamente, cospirano contro di noi.
Simpatica 🙂
quanto amo bosch! anche io mi sposto sempre come un oggetto!
ciuffo, sta arrivando il tango.
zop, tu sei un dado, si sa.
Questo post e’ tra i piu’ belli che abbia letto in assoluto. Mentre passavo dal tuo blog ho letto quello sull’acqua e mi e’ parso molto bello, delicato e forte allo stesso tempo.
Ma questa e’ letteratura. Che bellezza leggere cose tanto profonde e briose. Grazie!
uffa… mi mette anonima!! Sono Nefeli…
grazie Nefeli. mi fa piacere il tuo passaggio tra i miei s/oggetti…