Hanno cominciato le Eolie, e io ho pensato subito: ecco, oggi è un giorno smodato. Stavo andando a Palermo, città invisibile a cui si arriva col tatto e col gusto e con l’odorato. A destra, sullo Ionio parallelo all’autostrada e sbieco di cavalloni a testa bassa, le sette Eolie erano tredici, diciassette, ventotto. C’erano Eolie dappertutto, coni rovesciati, vulcani nascosti nell’azzurro della distanza, creste e rocce piatte che s’affollavano lungo la costa. Ho contato trentuno isole, cinquantotto isole, settantacinque isole. Poi ho capito che mi seguivano verso occidente (perché per un’isola che nasce ce n’è sempre una che corre via a gettarsi dal bordo della terra, che sta oltre le Colonne d’Ercole, il parapetto di ferro barocco dove le isole s’affacciano e a volte volano giù, dirette dall’altro lato, o nessuno).
Ho smesso di contarle, e dopo un paio d’ore – quando le isole erano duecentotrenta, trecentosessantasette, ottocentoventidue, e i paesini di mezza collina, pure loro, coi loro carichi di ceramiche, salami e pergolati, erano appresso, ansanti come cani di taglia piccola – sono arrivata nella materia densa, molle, multiforme di Palermo.
Non è che avessi una meta precisa, o forse sì: desideravo il centro di un anello di buccellato. Volevo chiudermi attorno un cerchio di pastafrolla farcito di fichi secchi, uvette, chiodi di garofano, cannella, cardamomo, nocciole, noci, mandorle e marmellata d’arance amare.
Volevo vicoli stretti sotto balconi fantasma – i parapetti solo disegnati sul muro, le staffe appese nel vuoto, arricciate di barocco o di stanchezza, i panni eternamente stesi, vite umide impossibili d’asciugare – volevo un accento molle, disteso, equivalente sonoro d’uno sguardo lento, strascicato, interminabile.
Volevo la Casa del brodo, dove ogni volta mi sanano le ferite, e il cucchiaio pesca consolazioni, sedani, carne di maiale, riparo.
Avevo una voglia precisa di vespri, che s’avvolgono in certe pieghe di Serpotta, indugiano dietro le croci d’alcune piazze, svettano come palme, s’arrampicano sulle facciate come viti, bouganville, felci sensitive scomparse dal resto del mondo. Li sentivo qui, tra la punta e il lato della lingua, dove si sentono il dolce e il salato: i vespri, i pistacchi, i marmi, i coralli, i cedri canditi, la pietra.
Mi volevo precisamente addentrare in stradine incerte, sconnesse, allargate provvisoriamente in piazze finte, slarghi custoditi da santi, festoni, nomi così vecchi da avere tutte le ossa porose, sprofondate in cripte infiltrate di piombo e salnitro e invocazioni, dimore di martiri e martorane, carni di zucchero e mandorle pallide come ossa, trasfigurazioni e deliqui crocifissi col filo spinato dei cantieri.
Volevo dormire nei setteveli (una miniatura devozionale: sette strati di cioccolati differenti legati da una crema di nocciole dei Nebrodi), passare una o due eternità senza mai arrivare alla fine.
Nelle friggitorie, i rotoli di ricotta si gonfiavano fino a colare giù, verso il mare: piovevano verdure, anelli in ragù di tre carni, pane e panelle, babbaluci a picchi pacchi, meusa grigia e marrone profumata di frattaglia e condizione umana, crocchette di patate vecchie e olio rifritto, agnello di dio che toglie i peccati dal mondo. Ci camminavo dentro, e sentivo che mi si chiudevano attorno, con la presa gentile di palude barocca della città.
Ci sono arrivata, infine, da Spinnato in Piazza Politeama. Cavalli di bronzo si precipitavano, veloci come secoli, e la gente s’affollava, con l’accento strascicato, indolente e millenario, e chiedeva pane e giochi, ed era la stessa cosa. Anche io li volevo.
La signorina con la cuffia – araba e normanna, gli occhi stretti e le ciglia bionde – m’ha chiesto: “Cosa vuole, signora?”.
E io ho indicato il buccellato più grande, una ciambella, una città, un’isola, un paese, un territorio, un mondo. Pesava dieci tonnellate, trecentomila tonnellate, due miliardi di tonnellate di roccia, lava, terra, sabbia, marna, pietrisco e ghiaia di fondale. Pesava duecento chiese, tremila cripte, cinquecentomila volute d’acanto in basso e altorilievo, il tempietto di Villa Igiea dove la regina di Romania sognava cogli occhi pieni di bistro, affacciata sulla distanza del Continente. Pesava ossari, saloni delle feste, superstrade a sette corsie e buchi Capaci di contenere intere stragi. Automobili sepolte nella terra, corse interrotte, della Procura della Repubblica e della Targa Florio.
La signorina con la cuffia l’ha pesato, serissima, facendo oscillare la stadera al suo tocco fenicio, e infine m’ha detto: “Fanno diecimila anni”.
Li avevo in contanti, ho pagato e sono uscita.
Nella piazza s’affollavano nuvole e sole. Ho staccato un pezzo di frontone, sono caduti scorzette, pistacchi, fregi canditi. Anche stelle di Natale e diademi di ghiaccio polare finto. L’ho assaporato.
Ecco, in quel preciso momento il cerchio s’è chiuso.
Tutto questo perché sabato sono andata a Palermo, dove mi chiamavano un’assemblea sindacale, una mostra di Pedro Cano e un buccellato di un metro. Non in quest’ordine.
Ho indossato la città come un’abitudine maligna e dura a morire, perché gli abiti sono tutte le categorie di segni di cui ci abbigliamo, in cui abitiamo, come nei cerchi sacri di pietra e pastafrolla ripiena.
niente da fare, ogni volta che vengo qua, sento una vocina che mi dice di andare nei posti da te sognati-cantati-descritti. inventati e non.
m.
io a palermo ci vivo. ed è pesante da digerire. credimi. bello il quadro di savinio.
è in effetti così:
vite e distanze si misurano in mandorle, sogni e pistacchi.
Le storie si raccontano con sapori e odori
(ci son storie che hanno un tale odore d’aria viziata, invece d’essere stese fuori ad asciugare)
Ma certo che, per vedere tutto questo, occorrono occhi d’angelo decaduto.
Ma certo che per raccontare tutto questo, occore voce di tuono, e sangue e isole nelle vene.
questo post è trionfale.
che leggendolo tutto insieme dà l’impressione di una pasticceria ben confezionata, con carte e vassoietti, una roba da portare in viaggio.
e quando finalmente arrivi e scartocci, all’interno c’è un solo dolcetto, uno solo: questa storia di isole e fratelli che ti si disfa in bocca.
(bellissima, bellissima. certe cose mi scatenano ricordi e immagini di vite in altri bordi della terra)
Avevo scritto delle Città invisibili di Pedro Cano poco più di un anno fa, quando ci fu la mostra al Museo Andersen a Roma, ma ritrovarle mi fa sempre un certo effetto… squilibrante. Come pure quelle delizie assassine a sette strati… sai che a Cerignola, vicino Foggia, si fa la pizza sette sfoglie, sette piani di sfoglia sottilissima inframmezzati da noci tritate, cioccolata, zucchero ed altre simili golosità…?Grata e felice di questo buongiorno, ti saluto stropicciando il tuo cerchio concluso con il mio baffo cioccolatoso preferito. 🙂“Detto questo, è inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che continuano ad attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle i cui desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati…”
bellissimo post… sono stata a Palermo questa estate, rivederla con i tuoi occhi e con la tua magia, l’ha resa + bella ancora, ciao
è riduttivo definirlo un post. E’ ricco sovrabbondante, trasbordante, infinito di sapori, di colate che sfumano in altre colate. Davide.
è impossibile che a Palermo facciano il buccellato.
ora vado a fare la spia ai lucchesi, povera te!
per una volta mi è venuto da dire, come si dice qua: Dio fa’…
Una bestemmia o una esclamazione?
Che ne so.
Ma questo pezzo, beh, questo pezzo è bellissimo.
d.
mrka, l’unico modo di visitare i luoghi è inventarli, anche di poco.
heathen, nessuno la trova digeribile. i luoghi facilmente assimilabili, chessò Riccione o Cortina, sono anche poco nutrienti, e fanno diventare obesi e infelici. meglio magri e felicemente disperati.
Herr Effe, è una vita che m’industrio a misurare le distanze: sbaglio sempre i calcoli. e son mandorle amare.
Flounder, diciamocelo: questo post è una cassata.
BibliotecadeBabel, le città invisibili io le incontro di continuo, e continuo a meravigliarmi di come i desideri infiltrino le fondamenta e i muri portanti (e comunque vado a leggermi quel post, che faccio collezione di invisibile, da qualche tempo). Per la cioccolata, non c’è dubbio, è una soglia magica: il numero sette lo dimostra con efficacia.
palommé, tu sai tutto, di quei sapori dissonanti, proprio tu sai tutto già.
Davide, qui si detesta il vuoto, o forse è ansia, e si deve riempire ogni spazio, tracimare sul tracimato. (ti bacio)
pbeneforti, i lucchesi non hanno idea, poveretti. loro non hanno nemmeno una cripta barocca, nemmeno un gattopardo, nemmeno un vicerè da metterci dentro…
demetrio, le esclamazioni sono sempre ben accette, qui: se guardi bene, laggiù c’è una cassa di punti esclamativi…
il buccellato però è solo lucchese
felice di aver scoperto questo blog gustandomi proprio questo post che parla al mio sangue.
Viene voglia di leccare il monitor
pbeneforti, in effetti è un trapianto, come i mille della Sicilia, che non è un’isola ma una chimera. in qualche punto del medioevo ci fu una trasmissione di saperi o di potere, o di tutti e due, e la corona circolare di pastafrolla e sortilegi divenne siciliana, palermitana. ora ci sono due dolci con lo stesso nome, in un due luoghi diversissimi. compiono magie diverse, probabilmente, con altri accenti e diverse trasformazioni.
mi accodo alla Sphera
(scrittura da mangiare, da far crocchiare sotto i denti, da tenere in un angolo della bocca, sotto la lingua, da succhiare ogni tanto, per poi schioccare le labbra)
a me mi erano rimasti due aggettivi tra i molari e ho dovuto usare il filo interdentale.
brezzamarina, benvenuta. qui il mare viene spesso.
sphera, io una volta l’ho fatto. per amore. sa di vetro acido, idiozia e polvere (l’amore, quell’amore).
Herr Effe, una volta ho pure dato un morso a una pergamena, perché volevo quella scrittura (inchiostro carminio, fibre dure, margini incrinati). poi m’hanno detto che era tossica.
Flo’, questo blog è approvato dall’associazione medici dentisti, vorrei precisare.
il buccellato medioevale sarà un po’ raffermo, immagino. ma forse basta una passatina nel forno a microondetemporali.
due gocce di mentolo sotto le nari, prima di leggerti…(perché ti promisi una voce fuori dal coro….)
Giro, insieme a te, per vicoli noti. Nelle nari, anziché gocce di mentolo, l’odore dell’olio raffermo di friggitoria.
Oggi, che è Santa Lucia, non si sente quasi altro, per le strade, ché anche il buccellato, per un giorno, è proibito.
Panelle e arancine, e la cuccìa; anche nel sacrificio, Palermo è barocca, più di quanto diano a intendere le strade sventrate da guerre perse e dall’incuria del tempo.
Perché ogni cosa vuole il suo, di tempo, e anche la setteveli va sfogliata a poco a poco, come nella danza di Salomé. È una delizia per cui ci vuole tanto di Cappello.
E nel leggerti, il desiderio di essere con te, a vagare… ancora una volta, a casa.
straordinario come siamo tutti siciliani di fronte agli occhi, al respiro ed al sangue intriso di isole moltiplicate.
In poche parole sei entrata in un vero tunnel da “craving”.
E’ l’effetto che fanno le città incantante,per questo invisibili, eccessive e dimesse nello stesso tempo, nobili, altere.
Lo stesso effetto che provo quando, in una girandola di sensi accesi, dal gusto all’odorato, mi aggiro per Roma, la “mia” città incantata per eccellenza.
(p.s. ho cambiato casa, colpa della mia natura irequieta. )
E’ che qui il vicolo si è riempito, stipato, stivato di ordori, sapori, sentori che l’uvette mi vanno giù per il collo e i buccellati me strozzano quasi cappi infernali di Ciacco e botticelle di marsalini mi si riversano per l’arido mio gargarozzo, scopo consolazione, tanto che in un total delirio gargantuesco quest’elenco me precipita tra arie pagane, fumisterie cantiniere, cavalli volanti ed isole portatili.
Tu sei strega,
o mia brioscina,
tu sei maga e fai incantamento,
per cui,
ora recomi, benché l’ora sia tarda, a consigliarmi con Andreuccio da Perugia del modo suo tenuto per sfuggire di tra le rughe di Palermo ad incantatrici quali te, proprio te:
o rosa aulentissima.
MarioB.
Solo che la tua scrittura si moltiplicasse come quelle isole.
Non chiedo altro.
P.S.): Ieri, insieme agli aguri, mi è arrivato da Roma qualche bella espressione di sconcerto e meraviglia in favore della brioche che ero andato segnalando in giro. Forse non è importante, ma farne un caso nazionale?
Shemale, auspico che si continui a segnalare. Se non è un caso nazionale, lo diventerà.
pbeneforti, nessun problema: qui si mangiano ancora focacce greche e farro romano…
Giocatore, ottima cosa: mentolo e dissonanze ogni giorno tolgono il narcisismo di torno…
Sì, riccio, l’odore di fritto e di tempo, che è un odore di sfacelo e di grazia. Te la invidio un poco, come casa a cui tornare, o a cui non tornare.
Isabella, sono prodigi dell’isola delle isole.
elis irrequieta e raminga, tu collezioni città e luoghi invisibili, che possono solo essere detti.
Mario, dici la formula magica di Cielo d’Alcamo, il mio preferito dei preferiti. Le sue parole sono ancora buone da mangiare, pensa.
shemale, non tentarmi: sai che sono compulsiva e metastatica. potrei scrivere fino a roma (ah, che città irrecintabile, non raccontabile) e poi tornare indietro. grazie per le segnalazioni, comunque. qui è comunità di passaparola e bigliettini in portineria.
Gretsch, come tutti i blog, o quasi, potrebbe essere solo un caso clinico… (e comunque vi adoro)
Un caso nazionale?
Solamente?
E il resto del mondo?
Perché non fare delle spille da giacca, delle bandoliere da caccia, o al minimo un banner per blog, con su scritto Proudly Brioche Reader (sarebbe inglese, nell’intenzione).
O alro slogan evocativo (d’accordo, anche in italiano, che tanto di nostri emigrati ce ne sono non pochi in ogni dove)
Ma dove sono i maghi del marketing e della pubblicità, dove i geni del banner, quando servono?
Fatev sotto, dunque.
Io ci sto, d’accordo con la mia stessa idea.
Se Mr. Effe mette da parte l’aplomb e palesa tanto entusiasmo, non provo più imbarazzo nel dichiarare il mio. Siamo già più di un manipolo, ma per diventare un movimento europeo ci vorrà tempo: almeno due settimane, temo.
considerato che ci sono le festività di mezzo, si arriverà a gennaio.
Poco male: dopo The Age of Aquarius, il 2006 sarà l’Anno della Brioche
(ma allora, codesto bannerino?)
“..ti chiami Ines ma adesso il nome che porti è Judith…”
Una lettura che è quasi una scorpacciata.
(certo che l’ho fatto, anch’io, Brioche: con una leggerissima sensazione di scarica elettrostatica alla lingua, e nulla più. Forse prima o poi nella vita tutti leccheranno un monitor: per amore, per lussuria o per sentire il sapore delle parole)
Sai una cosa, Anna? E’ così insoddisfatta questa esigenza sensoriale che provo al cospetto della mèra lettura dei tuoi posts che dovresti cominciare a considerare l’eventualità di leggermeli e mandarli in mp3. Ecco, vorrei ascoltarli ad occhi chiusi.
Herr Effe, l’anno della brioche, sul piano astrologico, mica mi sembra peggio dell’anno del topo.
No, no, Giocatore, qui è una casbah di baratri, che diamine.
Q.lla, infatti da quando l’ho scritto sono ingrassata due chili, quasi. E poi dicono di sublimare.
(sphera, laddove si dimostra che forse le papille non sbagliano mai)
fuoridaidenti, purtroppo tocchi una nota dolente. una volta un amico mi fece una sorpresa: fece registrare un testo mio (si intitolava “Bavarese di fragole”, ed era una ricetta rivisitata: ovvero, come si scrive un testo, con fragole, colla di pesce, zucchero e uova) ad un doppiatore, uno di quei prestavoce da brivido, e mi mando l’mp3 per natale. lo sai che non lo riconoscevo, il testo? nemmeno sua madre (che poi sarei io) l’avrebbe riconosciuto. ancora oggi lo ascolto dico “mah”. forse ci sono testi scritti per essere letti ad alta voce e testi scritti per essere letti in silenzio. o forse i testi si possono leggere in modi diversi, e non si somigliano neppure, tra loro (i testi, non i modi).
Scusate tanto,
ma se siamo d’accordo in tanti, allora perchè non costringere la brioche a raccogliere i suoi post migliori e sottoporli a qualcuno, con tanto di
sottoscrizioni titolate e autenticate come sostegno da parte nostra.
Perchè non tiriamo fuori tutte le conoscenze (buone e cattive) che abbiamo e vediamo di farla finalmente pubblicare?
Per me è la migliore di tutti, e, comunque, di tutto quello che ho potuto leggere sinora (moltissimo, ve lo giuro).
Non mi sembra un’impresa disperata, si tratta solo di organizzarsi un po’ (la brioche per prima, che, non appena ha un po’ di tempo, dovrebbe fare una sapiente cernita fra i suoi gioiellini).
Sarebbe una soddisfazione duplice, se non triplice. Lei si prenderebbe i meriti che ha, la blog-scrittura uscirebbe fuori a dimostrare che il post è una vera e propria tecnica d’arte e noi saremmo in qualche modo fra le righe di magia di queste sue piccole e bollenti mani incantatrici.
Io firmo.
Chi segue?
io firmo, ma solo se poi ci invita a cena.
Ti invito io, Passera.
Io Fermo…
Premesso che la circostanza della registrazione professionale mi conforta assai (allora non sono l’unico a provare questa sorta d’astinenza sensoriale di fronte a questo tripudio di colori sapori e tutto quanto appresso) chi se ne frega del doppiatore Anna? Io la tua voce intendevo! Tu hai una voce che mette allegrezza e se mi leggessi un post del genere io t’ascolterei ad occhi chiusi.
Scusa brioche,
ma allora mettilo anche in audio il prossimo post, non ho capito…
non sono affatto sicuro che sia così auspicabile, pubblicare al di fuori della rete, dove non esistono gli stessi margini di libertà e di immediatezza.
In qualunque caso, non sono i post, che dovrebbero essere pubblicati fuori di qui (i post vivono nei blog, al di fuori ne moiono)
Per dire che la Brioche è una scrittrice, non c’è bisogno che esca per Adelphi.
Gliela riconosciamo già noi, questa grazia, in modo indiscutibile e in tempo reale.
Poi, in via del tutto eccezionale, e solo perché è lei, una pubblicazione o due su carta gliela consento pure, se lo desidera.
Allora, e solo con questi presupposti, firmo con sangue rapace (purche si tratti di cambiali di lungo corso, che al momento sono in ristrettezze)
ragazzi, attenti a quello che firmate. e attenti a quello che desiderate. (shemale, non so proprio come si faccia, a fare un post audio. però mi piacerebbe. quanto al resto, ogni volta che entro in libreria mi sento una naufraga. qui invece no.
Herr Effe, se Lei firma col sangue ci aspettiamo cose mefistoEFFeliche. e comunque non si preoccupi, c’è un’eternità, per riscuotere…
Flo’, ti invito lo stesso a cena, anche se non firmi. e cucino pure io)
Effe ha ragione sulla libertà e l’immediatezza (sarebbe come se uno togliesse l’improvvisazione a un riff jazzistico). Non so, però, se i post muoiono fuori dai blog (certo le jam-sessions non muoiono al di fuori del palcoscenico…).
Comunque sia, c’è al giorno d’oggi una situazione paradossale: se vuoi leggere la Tamaro (d’altronde c’è gente che usa il crack…) devi pagare, mentre la brioche è tutta gratis.
Ora vado in libreria, prendo tre libri della Tamaro e me li porto a casa senza tirare fuori una lira.
E se mi fermano dicendo: “Hei, sono 30,00 euro!!!!”, gli rispondo: “Non importa buon uomo, li tenga pure, siamo quasi a Natale…”
Ora vado in
L’ultima frase era: Ora vado.
Shemale, ora vai!
Vai in libreria dinuovo,
non prima però di aver stampato almeno un centinaio di copie dei pezzi migliori qui presentatici dalla nostra maravigliosa ospite;
dunque, tu, munito degli stampati e di rotolo adeguato di nastro adesivo cartaceo, appostatoti in acconcio luogo nella medesima libreria, quindi comincerai ad appiccicare con il predetto scotch una quantità dei testi della nostra Brioscina agli scaffali ai ripiani sui pilastri, facendo così una sorta di tatzebao temporaneo briosciesco.
Se chiamano una guardia, tu digli che sei un trispito e che sei un messo divino o digli che ti mando io, fa lo stesso.
MarioB.
beh, questa, Marius è una cosa carina. no, non parlo delle mie brioches, ma di tutto il resto. ce ne andiamo nelle librerie infestate (cioè addobbate a festa di libri di Bruno Vespa, Lilli Gruber, Maria Venturi, Giannetta Trispita Alberoni, Valerio Trispito Manfridi, eccetera eccetera) e ci appiccichiamo con lo scotch di puro malto tutti i post che ci piacciono, di tutti quelli che ci piacciono (e che non sono mica pochi). Situazionismo schoccico bloggico mariobianchesco. SSBM. Slogan: leggete sopra le righe.
firmo.
Anch’io. E con la stessa stilografica.
questa cosa dell’inserire scrittura altra nei libri, ebbene, io l’ho fatto, se vi può essere utile la mia esperienza.
L’ho fatto al Salone del Libro di Torino, per scopi sacripantici.
Tutta notte a stampare centinaia di pieghevoli,
e poi ore di appostamenti negli stand per trovare l’attimo giusto per il balzo.
La cosa mi ha dato soddisfazione, ma gaurdatevi dal CS (Commesso Solerte) che, dopo aver colto nei vostri occhi il lampo dell’untore, vi seguirà attaccato com una mignatta (e ho scritto mignatta) per disfare coscienziosamente quel che voi fate (implacabili e addestrati alla guerriglia urbana quelli Einaudi, per dire).
Voglio intendere: prima del situazionismo occorre procedere alla neutralizzazione del CS.
Basta dotarsi d’occhiali scuri a celare il famoso lampo untorio, assumere un’aria svagata o perfino tonta da CS (Cliente Scemo), e mandare avanti un complice per tener impegnato il CS. La tattica, una volta scoperta, verrà sostiuita da un’altra. La fantasia non ci manca, come recita la diceria (dell’untore).
io posso fare gli occhi dolci.
e mentre attacco i post-it provo anche a sfilare qualche portafogli.
però voi dovete fare i pali.
Per conformazione fisica il palo mi viene facile. Flounder, non approvo, ma s’intende che nel caso il ricavato dello sfilamento andrebbe a finanziare la causa.
ma è ovvio.
pensavi volessi portarvi a far bisboccia? moi?
Basta attaccarli appena fuori, dalle librerie. Tutt’intorno alle vetrine, all’ingresso, alle insegne, eventuamente ai pali della luce proprio di fronte. E lì il CS non ha nessun diritto di staccarli. Credo. Comunque, intanto che se ne discute, passa il tempo, la gente legge, eccetera.(Io firmo, tutto, sempre)
Mi par di vedere Anna, che ci osserva in disparte, tra il compiaciuto e l’allarmato (più la seconda, direi).
Flounder, la bisboccia FA PARTE della causa.
allora, nell’ordine: Herr Effe ci ha preceduti, come sempre. Ma far da battistrada è il suo destino, e al destino non si sfugge (c’è chi ha un destino da paracarro, chi da pietra miliare, chi da marmitta usata, chi da spinterogeno fuso)(io sono la marmitta).
approvo e sottoscrivo la bisboccia. e il situazionismo da CS antiCS. post di tutti noi e di chiunque vuole unirsi. fotocopie (ché non esiste più il magnifico, cigolante, odoroso ciclostile) e scotch, e faccia tosta. chi li vuol comprare i libri, se li trova scritti per strada (dove stanno quando non sono ancora scritti, dove dovrebbero stare, dove tornano quando possono)?
(aggiungo che, comunque, non comprerei mai un libro scritto da una come me, ma certamente lo comprerei, uno scritto da voi)
Infine: appuntamento alla prossima fiera del libro. Sul serio. Situazioniamoci tutti. E chi non c’è non è figlio di Maria.
Sono pronto all’impegno e alla bisboccia, che a quanto pare finalmente saran tutt’uno. Come dire: per me uno scotch, liscio.
Io firmo, intanto.
E aggiungo che un libro brioche lo comprerei, per deliziare occhi e palato a un tempo (un libro con cappello, per toglierlo appena iniziato a leggere).
Però ammetto che non sarei capace di andare in giro ad appendere volantini; farei piuttosto il palo o il CS (cliente scemo): per quello, infine, ho una spiccata attitudine.
(Sul salone del Libro e il situazionismo Effiano credo ci sia una registrazione audio, da qualche parte… sicuramente c’è un po-sttttt, però, io non ho detto niente)
per piacere, precisione (che io di mestiere organizzo e sono anche un po’ puntigliosa): quale fiera del libro? dove? a che ora?
tipo una critical mass di blogghèr e bloggherèss che accerchiano l’ignaro e incauto acquirente del libro del CS e gli azzeccano tutti i post-it in fronte?
o è troppo violenta?
Riccio, guardi che la vedo, sa?
Il file audio è la registrazioen del mio proditorio intervento alla trasmissione radiofonica Caterpillar (radio2) sempre per motivi sacripantici.
Insomma, nulla è impossibile al situazionista scafato.
Propongo quindi di irrompere nelle edizioni regionali dei telegiornali della sera per leggere, impossessandoci del microfono, un breve post briochiano.
Tutti insieme, in tutte le regioni, stesso giorno, stessa ora.
Che ci vuole?
Io mi occupo del Piemonte, consideratela cosa fatta
(la tv è della gente)
A leggere ci si sazia di sapori e ancora tuttavia si vorrebbe continuare a starvi immersi.
Inutile dire che è una scrittura bellissima
crcr
cri ci crid prick
sugnu trispito
io disponibile per disperdere foglio di signora mangino br.,
presente qui ante libreriam apposita,
basta esborso mensa,
anche a fritto o a friddo,
dicesi,
basta,
hasta imbarascam
no facias te supponi
et non implebis tascam,
pric
pric
squick
trispitino
Manca il commento “Santa subito”.
Lo è già.
E’ un post goloso, Brioches. Slurp slurp. Il mio quartiere invece non è così. Sa di involtino primavera, odora di Wan-Ton fritto. E’ scivoloso come un piatto di spaghetti di soia. Quando mi prende la nostalgia di qualcosa di caldo, però, mi sazia. Buon appetito.
Quanto non si può non voler bene a parole così intrecciate. Sai penso alla tua scrittura e penso che il tuo cuore (se permetti l’invadenza) dentro un minuto riesca a leggere l’estensione infinita del tempo… mentre a me un universo dura giusto quel niente che basta per lasciarmi distrarre di nuovo.
Mi sento salato e candito sulle labbra e nella ciccia, ogni volta che passo da te.
oggesù, anche il trispito ora va per blogghi e mette gli annunci, mette. va bene, trispitino: per ogni foglio che appizzi ti do’ una crocchetta di melanzana, per ogni pezzo di scotch ti do’ un cucchiaio di peperonata fina, per ogni quartiere ti regalo tre carciofi ripieni e un ovetto scafazzato a sassetta.
Egregio Bonaventura, spero proprio di no: da santa mi annoierei moltissimo. Al limite una cosa come Santa Teresa d’Avila, che si faceva i cicchetti di dombairo l’uvamaro del priore di nascosto, ecco.
Bhikshu, i luogh che odorano di cibo mi piacciono tutti, mi confortano. Detesto i luoghi che non odorano di niente. In una friggitoria potrei anche viverci (ma una bella colletta per una mangiata d’arancini no, eh?)
inventatore, tu vai così veloce che questa risposta la dovevo postare l’altroieri, ormai non la leggerai più. abbracci retroversi.
Vorrei, invece io,
bel ritratto di cotest “uovo scafazzato a sassetta” che non so che sia, ma mi pare cosa dal suon singolare e di profumo, però, ambiguo.
Ma in padellino in vero rame stagnato.
Sarebbe una bella natura morta, che so, con aggiunta di due carote, un limone, un cedro sbucciato in parte, un bicchiere a calice di vino ambrato, un grosso pane spezzato su tagliere, due farfalle Vanesse che svolazzano in qua e in là, un moscone sulla buccia del cedro, un lucertola verde piccina che si frega na briciola di pane.
Fondo bruno con ombre di terra verde oscura.
MarioB.
E’ che, caro Marius, per raccontarti dell’uovo scafazzato a sassetta dovrei raccontarti di Febronia, la gigantessa che faceva da balia e da cuoca e da strega, quando c’era bisogno. Coi baffi a manubrio, nipoti lontani e ingrati, una serie di medagliette benedette e pensieri impuri che combatteva con la spada e l’acqua santa. Era analfabeta, ma sapeva leggere un sacco di cose, Febronia. E quell’uovo, quell’uovo era una natura viva, ma con teschio ridente e garofani e rosmarino dell’orto.
ah, beh,
aspetto alla prossima puntata fidente,
nè,
Marius
si vede che non siamo più niente…ciau,a.