Ho capito cosa non va in quella casa. Sono le intenzioni.
Lei aveva intenzioni di castello, di palazzo, d’un salone nell’altro, di scenografie barocche che si spalancavano su un mare vergine.
Lui costruiva solo per distruggere, per affermare il suo proprio spazio, per piegare le ragioni della materia e della vita alla sua volontà e alle sue mani: indistinguibili, peraltro, nella tensione delle nocche.
Lui ha costruito la casa, lei l’ha svolta e arredata, e le loro intenzioni erano così dissimili che la casa pendeva tutta da un lato, tutta sghemba, e i figli si raccoglievano ora su un angolo ora sull’altro, assieme a vortici di foglie secche, mattonelle spaiate, pannelli di sughero.
Certo, c’era la piscina, che almeno lei era rettangolare e inequivocabile, lo sguardo fisso rotto in cinquemila piastrelle, l’odore di cloro che galleggiava a quattro centrimetri dal bordo, la scaletta cromata dove le parallele potevano ignorarsi, dentro e fuori dall’acqua.
Ma attorno divampava il prato, furioso e incolto fino al parapetto. Sopra s’agitavano gli eucalipti prigionieri, che si stracciavano continuamente le vesti perché ricordavano la casa di prima. La palma solitaria, controvento, s’era fissata invece con la finestra del secondo piano, la oscurava come un piccolo sole nero fiorito in cima ad un giunco, una liana, un’invenzione di lui che s’inventava i giardini, le vetrate e i portici persino dove non era possibile, non era credibile, non era vero.
Lei, allora, per ripicca s’era occupata gli spazi angolari, i passaggi, tutte le cornici con le fotografie. Lampadari pieni di gocce, monetari intarsiati, tavolini napoleonici, appliques carnivore cresciute a dismisura sulla boiserie di noce classico. Tutto un percorso da castellana che non finiva da nessuna parte, anche se lei s’illudeva finisse nel centro della casa, nella foto dove apparivano ancora in quattro – la bambina sarebbe arrivata tardiva e piena di broncio – e sembravano pure felici, a giudicare dalle mani e dagli occhi.
Invece quella foto era precisamente il punto di fuga.
Non so cosa accadde per anni, perché le foto non raccontano tutto, anche meno delle persone e molto molto meno dei fatti. Gardenie, separazioni, cambi di residenza, biliardo, manutenzione. Matrimoni, pubertà, divorzi. E la carta da parati si screpolava, e le funi di tiraggio e contrappeso ch’avevano drizzato negli anni non tenevano più.
Ieri notte m’è sembrato di capire tutto, sotto lo scirocco che batteva dita gigantesche sulle pareti e discuteva con la pioggia. Io che ormai frequento solo case che muoiono.
Le intenzioni, ecco cosa. Le intenzioni di lei stracciate negli angoli, con la fodera capovolta, l’imbottitura sparsa a terra. Le intenzioni di lui rifugiate nel tetto da cattedrale, così grande e verde da raccogliere tutti i respiri della casa, in un immenso monumento d’aria a suo modo immortale. Le intenzioni.
sì, ho visitato un’altra casa in fin di vita, ed era pure notte e scirocco. ho constatato di persona il punto di vista della vetrata anni Cinquanta, del tavolo di biliardo, della scala, delle piastrelle con centomila occhi, del deposito di giocattoli rotti. è ora che mi metta a visitare cantieri, penso.
Fa freddo, sono quasi le due e mezza, non si sente un rumore. La gatta mi guarda di sbieco dalla sua poltroncina e ho appena letto le tue intenzioni.
Anch’io ho un’intenzione, in questo buio di pioggia fine e sogni segreti.
Credo sia insieme a te.
E non mi sembra che penda da nessuna parte.
ma i cantieri, amica bella, non ti procurerebbero l’incanto delle stesse soddisfazioni e poi là non fioriscono gardenie… bacio del lunedì, g***
assolutamente affermativo…. i cantieri con PROMESSE di case VIVE… assolutamente affermativo.
Credo che non siano le case che parlino, ma, come sempre, i tuoi occhi che sanno leggere. Sarebbe bello che leggessero promesse e premesse… sarà un augurio??? ciao
Eppure queste intenzioni dissimili,che si scorgono tra angoli e vetrate, queste intenzioni ancora in tensione, mi sembra siano esse stesse cantiere, siano impalcature e fondamenta, siano pilastri e muri portanti, siano la trave maestra che sostiene.
E che il broncio si sciolga.
La sorella di Gianni
sono passati anni.
casa mia è sempre la stessa. stessi mobili, stessi soprammobili, stessi tappeti e coperte gettate sui divani.
qualcuno che manca da tanto entra e dice: è diverso, che hai fatto?
nulla. è uguale.
ma sembra….
sembra.
parliamo della stessa cosa in realtà. la casa è diversa, l’aria è diversa.
io faccio finta di non capire.
quando mi dicono, sorridendo: non so cos’è, ma adesso è proprio casa tua, allora mi rilasso e sorrido.
ogni casa dovrebbe avere un deposito per i giocattoli rotti, per i sogni dispersi, per le intenzioni avanzate, per braccia che mulinano e vite dietro l’angolo.
E qui, d’altro canto, cosa si fa, se non costruire nuove case un mattone alla volta, una parola alla volta, per farci poi abitare le nostre storie e noi.
È proprio vero che non ci sono più le mezze stagioni. Io qui, in questo quaderno a righe, vedo solo stagioni piene, decise, ubertose perfino. Senti maaa, il segreto, per curiosità, sta nella penna, nella carta o nella brioche?
Come sanno essere carichi di tensione i tuoi occhi che bruciano il firmamento altrui. E nelle tue intenzioni sbagliate, quanta nostalgia dei colori, della polvere, di ciò che non è mai esistito. Sì, è vero, bisogna saper accettare l’aiuto del passato, per evitare che finanche lo sguardo finisca seppellito dalle macerie dell’anima. Bisogna inseguire il creato, come se fosse una preda. E scatenare l’effetto dell’oblio… sulla vita futura. Andare a caccia di peccati. Purificarsi. (pentimento del tempo)
Questi tuoi percorsi in filigrana vanno a toccare aree di emozioni che a volte sento di dover tenere in apnea. Se salissero in superficie, a cercar aria, i conversari di suoni e rumori e passi sussurrati delle case,i riflessi delle persone e delle abitudini che sono state, gli odori che ti pare ancora di sentire, non credo sarei capace di contenerli.
Come non so contenere, ancora, la paura di una possibile, definitiva assenza.
ciao Anna.
con affetto.
buonasera 🙂
shemale, guarda che qui anche un avverbio è fare outing… il blog è una palla di vetro, anche.
Gardenia, lo so. Infatti odio i cantieri, e le opere di perenne distruzione in cui mi sembrano impegnati. Quanto alle gardenie… fioriscono solo dove c’è succo e vita.
palommé, lo prendo come un augurio. Ma le gru mi stanno lo stesso indigeste, lo sai. Accidenti.
Sorella di Gianni, benvenuta. E benvenute le parole che dici. Anche perché sono vere, pure se d’una contraddittoria verità (che le verità sono tante, e tutte in contrasto tra loro). Le intenzioni sono anche muri mastri, pilastri e architravi, perché ci sono molte case, dentro ogni casa. E ci sono molte pietre angolari, pure se reggono cose diverse, contemporaneamente, e reggono persino il loro stesso non reggersi, qualche volta.
Flounder, le case sono viavia diverse nello spazio e nel tempo, non c’è niente da fare, anche restando uguali. Sono loro più noi, i nostri gesti e i nostri passi, e le cose invisibili che continuiamo ad accatastarci dentro.
Herr, i blog sono anche case. Case di ringhiera, si disse, dove le storie cambiano di pianerottolo e passano altrove.
letturalenta, il segreto sta sempre negli occhi di chi legge. lentamente.
Pentimento del tempo, mi piace l’idea di obliare il futuro.Per questo i cantieri, e non le cantine (o, al limite, i mi cantini).
Col, le case abitate dall’assenza sono in assoluto le più temibili di tutte. E tu, che senti le increspature nell’aria, lo sai bene. Ti abbraccio.
buonasera, buonasera.
Quello che ti dicono le case, non te lo racconterà mai nessuna fotografia, non te lo spiegherà mai nessun narratore vero o presunto.
Quello che ti/ci dicono le case va oltre i ricordi personali, anche quelli vissuti in primissima persona. Perché le case assorbono i pensieri di chi le ha abitate, anche quelli più segreti. E solo lo scirocco può svegliarli e farli sussurrare, se sono malinconici ma dolci; se sono crudeli e gelidi, ci vuole il maestrale, quello che faceva diventare matto il principe Amleto aumentandogli i dubbi e le voci e le visioni e, ahimé, pure le certezze.
:-*
Tranne il fatto che potrei dissentire sulla questione fotografia, ma il mio dissentimento altro non sarebbe che un colore del mio sentimento, tranne questo, dicevo, hai fotografato (eh eh eh) da par tuo ciò che a occhio sensibile di solito sfugge, e se non sfugge rimane comunque incagliato sui fondali di remote sensazioni. Questo è il negativo di un post che meriterebbe sviluppo. Chissà che diresti entrando in casa mia…
Il muro di berlino è caduto da anni, ma ne sono rimaste piccole, invisibili e somiglianti repliche nelle case, come quella che descrivi. A volte non è neppure una questione di arredamento, è che nella casa ci sono due poli invisibili, che attraggono diversi caratteri e diversi umori in parti opposte, anche se questo non era certamente nei piani. Buona giornata NM
potresti altrimenti visitar cantorie. sono più belle, di solito.
>è ora che mi metta a visitare cantieri, penso.
potresti invece visitar cantorie. sono più belle, di solito.
pensavo di averti già lasciato un commento, ma a volte Splinder si incanta, mi dice di attendere. Forse non ho atteso abbastanza, inquieta come sono. Ecco questa è una delle ragioni per cui non parlo più di case e di intenzioni.Cambio spesso tutte e due perché ho sempre fretta di dimenticare. I cantieri invece mi piacciono, sono pieni di speranze, di ottimismo. Di futuro, in una parola.
Placida, mi inquieta questo lato di spugna delle case, questo lato paziente e oceanico, mi inquieta. E i venti mi inquietano di più, se le fanno parlare.
kresh, i negativi non chiedono che dei positivi da rin-negare. e viceversa, forse. non so entrando a casa tua, ma entrando nel tuo blog me ne vengono di cose, in mente. ti abbraccio (e… come va?)
Nowhereman, mi piace quest’idea dei poli, come una piccola Terra, con artide e antartide e forse pure un equatore al centro. La casa micromondo, microcosmo.
pbeneforti, mi piacerebbe visitare uno dei tuoi “libri”, o dei tuoi cieli, ma non riesco a mandarti una mail. Ora mi suggerisci una cantoria, e io penso a Luca della Robbia, e sogno una notte di maiolica.
setteparole, non so più quali siano le case, e se basta un’intenzione, per edificarcene una attorno, indelebile, indistruttibile.
A me non inquieta. Temo meno le case che le persone; forse perché le capisco di più, lineari e sincere.
E il vento, i venti, sono amici, che parlano e suggeriscono sussurrando, allontanano gas malefici, allargano polmoni e visuali. ;-)**
beneforti at servidellagleba.it
🙂
merci