Lo incontro per caso, in una mattina autunnale d’aprile.
“Questo non è il colore consueto della luce – mi dice – ma è quello giusto”.
Come se sapessi di cosa parla annuisco, e mi siedo vicino a lui.
Il luogo è un imprecisato belvedere della Città dello Stretto, un po’ grigio e un po’ celeste, fitto d’antenne e serbatoi, ma con quella vastità contenuta, quella promessa di spazio, quella distanza eppure prossimità che resta l’impronta dello Stretto.
“Qui ci starebbe bene una crocifissione” dice lui, con un lieve gesto della mano, come se tracciasse una, o tre croci.
“Qui siamo crocifissi da un sacco di tempo” gli rispondo, e stringo un poco gli occhi perché mi sembra che il suo gesto abbia lasciato lievi tracce nell’aria: rami neri, corpi curvi, dolori ortogonali, ma anche una rassegnazione come quella delle pietre. Quella la riconosco, ci appartiene da sempre.
“Rassegnarci ci viene facile” gli rispondo, incongruamente, ma lui capisce. Fa un cenno con la sua bella testa bruna, e volge gli occhi pieni d’una luce così limpida da essere oscura.
“Di che colore hai gli occhi?” gli chiedo, perché non ho un nome, per quel colore.
“I colori non esistono – mi dice lui, ma è una provocazione meridionale, sia pure rivestita di compostezza, tagliata con bordi nitidi che non appartengono a queste terre – i colori sono un pretesto… come dite voi… una copertura”. Sorride, con un lato solo della bocca, e torna a guardare verso lo Stretto con i suoi occhi color pretesto e attesa e luce.
Mi viene in mente che “colore” e “celare” sono parole sorelle, gemellate nel modo segreto ed evidente dei nomi.
“Il colore nasconde le cose” dico, ma forse sto soltanto chiedendo.
“Come la luce” mi risponde, o forse dice soltanto.
“E non c’è niente che ci dichiari?” gli chiedo.
In una lunga pausa, tra noi s’insinua una brezza turchina, che sa certamente di sale e di zagara.
“Le lacrime, il sangue, i gesti” fa lui, dopo un certo tempo.
“Gesti?”lo guardo come se m’aspettassi una risposta dal suo volto infinitamente composto e reticente. “Quale gesto, per esempio?” insisto.
Solleva la mano destra, come per farmi tacere, o attendere, o ascoltare.
Riconosco quel gesto. L’ho già visto. Ricordo un mantello d’un azzurro soprannaturale, un azzurro attesa e sospensione e quiete. Un azzurro-lettura, un azzurro-pausa, un azzurro-consapevolezza e accettazione e dolore e certezza e dubbio.
L’aria si gonfia impercettibilmente, come una promessa d’acqua. Non c’è nulla di nitido, l’altra sponda s’allontana, sparisce quasi nella foschia, lo Stretto s’allarga e l’isola perde i confini. L’isola è la sola terra al mondo, ai suoi bordi sono nuvole incerte, nebbia, nulla.
“Uscire dall’isola è molto difficile – dice lui, che guarda con attenzione le metamorfosi del cielo e dell’aria – forse è impossibile”.
“Dici che ce la portiamo dietro, ovunque?” gli chiedo senza guardarlo.
Fa un gesto come un sì, o un no.
“E la luce, provi a cambiarla, e la purezza, a cercarla nell’olio, nel nord…” continua come se non m’avesse sentito.
Ha una piega amara, di colpo, come una disillusione inconsolabile. Gli occhi diventano neri, e più chiari. Mi sembra bellissimo, e doloroso.
“Ma tu sei tornato, infine?” non posso trattenermi dal chiederglielo, e so che è una domanda senza senso, senza fine.
“Nessuno torna davvero, nessuno se ne va davvero”, mi dice, e sorride pianissimo.
Si alza e va via. O forse resta, non so.
partecipo, ovviamente in ritardo, alla Settimana artistica dedicata a un mio concittadino, l’inafferrabile Antonello da Messina, l’enigmatico e anfibio Antonello, un po’ siculo un po’ fiammingo, un po’ dimenticato un po’ indimenticabile, infinitamente ignoto, soprattutto in quello che di lui si può vedere…
Ecco, lo aspettavo questo post.
Nel suo peregrinare ho incontrato anch’io Antonello, anzi ci salutiamo tutti i giorni quando, assieme ai suoi amici, passa da me, si affacciano alla mia finestra, e mi resta negli occhi il suo misterioso sorriso.
e io l’amo (mi dicono che qui, nel castello di fiano, quelle comparse in calzamaglia che intravedo dalla finestra, stiano girando un film proprio su “isso”)
A me quel tipo lì di Cefalù, che ha messo qui Farsergio, mi fa imbizzarrire, ti dico che gli darei due schiaffi.
Un tal critico disse che era l’immagine archetipa di mafioso, mah.
Quando andai a Cefalù subito mi precipitai al museo Mandralisca, dopo il duomo naturalmente, a fargli doverosa visita.
Stava lì un po’ al buio, con sta faccia da schiaffi, non c’era nessuno, gli ho detto parolazze ma lui se ne fottè altissimamente.
Abbiamo incomprensioni reciproche.
Però uno di lì, che lo conosce bene mi ha detto che era, o meglio è, un commerciante/armatore genovese; mi ha detto pure che è riuscito ad avere il contributo regionale per il trasporto pacchi postali in Medio Oriente.
MarioB.
quali incontri meravigliosi fa la tua penna, mia cara… con i tuoi occhi è possibile guardarvi discutere d’arte e di luce, di struttura e colore… io credo che con i tuoi occhi tutto sia davvero possibile, ciao
giorgi, ero in ingiustificabile ritardo, con antonello. almeno quattro secoli.
farsergio, qualche volta prova a rivolgergli la parola. chissà cosa ti dirà, o non ti dirà…
senzaqualità, si ama come tutte le cose che sfuggono (in calzamaglia?)
Marius, è uno amico degli amici, uno che ce la sa, uno che fa proposte che non si possono rrrrifiutare… (ma tu in che lingua gliele hai dette, le parolazze?)
palommé, lui veramente ha detto che ti conosceva, ed era venuto a trovarti…
L’ho visto da poco, quell’Antonello lì… e quel gesto d’attesa, e quegli sguardi obliqui, eppure diretti.
“le lacrime, il sangue, i gesti”… i gesti, proprio così.
(E quale sorpresa, proprio nell’assenza di “colore che nasconde” e nella nitidezza del tratto, due piccoli disegni – forse gli unici rimasti – quasi incuranti, ma pronti a spiccare dalla pagina).
Davvero molto bello quello che hai scritto (come sempre, del resto). Questa volta un tono più lirico.
Ma allora, ti sei convinta che era lo Stretto quello della crocifissione?
Più o meno è la vista dalla zona sopra Tremestieri, o San Filippo … fatta a memoria, non en plein air.
ciao
Davvero una conversazione in Sicilia. Ma perche’ quell’isola e’ sempre cosi’ vicina alla metafisica? Un fatto geografico?
OT, solo un promemoria.
Giorno 30 aprile è l’ultimo giorno utile per effettuare i versamenti per i Bambini nel Tempo (bambinineltempo.splinder.com). Non succede niente se lo effettui in ritardo, solo ci serve saperlo per non fare confusione coi conteggi.
grazie
splash!
Aggiungere parole color pretesto mi sembra fuori luogo. Sono colpevole, in ritardo imperdonabile. Ma entro stasera devo incontrarlo anch’io, perché mi assenterò fino a lunedì. Dunque… ritorno… conservami un angolino d’isola. :-*
sarà che son cieco, e forse sordo, e probabilmente muto, ma qui non vedo Antonello, vedo solo Messina, vedo l’Isola:
qui i suoi gesti, i suoi colori, le cose taciute, quelle rivelate a bassa voce, e il sorriso che incatena, e la luce, la luce, la luce.
E poi c’è l’unico caso di leone timido nella storia dell’arte. Quello che sta in penombra nello studio di San Girolamo, senza avere il coraggio di entrare in primo piano. Non ho mai pensato che fosse minaccioso.
Scrittura molto raffinata, come sempre…
riccio, è tutto in quelle tessiture: siamo i nostri gesti.
Biz, trovo che non abbia molta importanza, pure se scorgo qualche somiglianza col paesaggio che è ancora quello (almeno prima del Ponte), e che comunque sia sempre, anche en plein air, una ricostruzione della mente, della memoria, un pretesto…
sogniebisogni, l’isola è una metafora perfetta, galleggia sulla continua, possibile negazione di se stessa.
sirené, hai ragione. provvedo.
Stefania, mi raccomando, fai attenzione: quegli occhi ti rubano la forma.
Herr Effe, è sempre così: ogni volta è una cecità diversa, quella a cui ci condanna la visione.
aquatarkus, ti ho già detto che hic sunt leones?
oddio, ci s’è ristretto splinder!
“… I colori non esistono…sono un
pretesto…una copertura…”
Ecco cosa mi ha fatto ricordare questa frase:
IL CIECO E IL LATTE
Un uomo che era nato cieco chiese a un amico che vedeva:
-Di che colore è il latte?
-Il latte?- Rispose l’amico.- E’ dello stesso colore della carta bianca.
-Allora fa il rumore della carta quando viene spiegazzata?
-No, non mi sono spiegato bene. Il latte ha lo stesso colore della farina di frumento.
-Allora è delicato al tatto e scorre lieve tra le dita come la farina?
-No, non mi sono spiegato ancora. E’ bianco come la pelliccia dell’ermellino.
-Allora è soffice, vellutato?
-No, è bianco e basta. Bianco come la neve.
-Allora è freddo come la neve?
Colui che vedeva cercò molti altri esempi, ma inutilmente. Il cieco non riuscì a comprendere come sia il colore del latte.
Lev Tolstoj
( dai ricordi di infanzia delle favole narrate da mia madre)
Grazie ancora Sig.a Mangino:
è sempre un piacere.
La tua originalità è piacevolmente sorprendente… c’è qualcosa di geniale a Messina
fabio
bleusouris, Antonello è pittore raffinato, astratto, cerebrale. Non c’ingannino i suoi azzurri, le sue contrade verisimili.
rosadstrada, grazie. bellissimo, il suono dei colori. il suono del latte, però, è certamente difficile, silenzioso com’è…
non so, fabio, a viverci è la città più sprofondata e cieca della terra.
Per un momento sono passata su quello stretto e ho guardato bene luce e colori, cose rivelate e cose celate. E mi è parso di sentire la tua voce.
Dimenticato, indimenticabile, infinitamente ignoto. Raramente ho ascoltato una definizione più indovinata per un artista che coinvolge con la rarefazione come Antonello. Non è un pittore facile, come tutti i grandi razionalisti la sua poesia, dietro la perfezione formale è aspra e ben più dissonante di quanto appaia. Come l’ultima tromba dell’Apocalisse, alla bocca suona dolce come miele, poi avvelena e amareggia, commuove con la reticenza di sentimento. La sua Annunziata, come la Gioconda, ci si chiede da sempre se sorrida e per cosa sorrida. Domanda vana che ha in sé la sua risposta (giustamente più incomprensibile della domanda). All’alba del ritratto come forma di psicologia del profondo, Antonello, come Leonardo, sa benissimo che la psiche, nel profondo non ha molto di determinabile. Al carattere, riflesso negli studi fisiognomici, già si abbina lo stato d’animo, dissolto nel tempo, indefinito e indefinibile. In Antonello, quanto più forme e contorni sono perfetti etangibili, tanto più i significati, sono, appunto, infinitamente ignoti. A quanti si può attagliare questa definizione? Ne trovo pochi: forse due dei possibili mentori del nostro, Piero e Fouquet, forse il Giorgione più esoterico, sebbene più in bilico sulla lirica, Vermeer, La Tour, Velazquez de Las Meninas, Chardin, Corot, ma questi ultimi due con più mmalinconia, infine i metafisici, qualche bottiglia di Morandi, qualche interno hopperiano, qualche astrattista non troppo vitalistico, Casorati. Una genia che canta il dolce silenzio della luce. L’incanto è l’inizio del percorso
i gesti di quelle due mani sprofondate nell’azzurro. la sinistra, pudica che chiude, la destra che apre e che fa segno di aspettare, come un invito all’attesa o all’avvicinarsi e negli occhi e nelle labbra un sorriso colorato di pura dolcezza.
Di Antonello mi stupì sempre molitssimo il San Gerolamo nello studio.
Antonello non fa il solito San Gerolamo seminudo, smunto eremita con libro e leone in deserto o presso grotta, ma ti fa il santo quando assunse la porpora e te lo sistema in un interno bellissimo ed assurdo, un palcoscenico surreale, una cella in legno situata in inteno di cattedrale, coi suoi libri e vari animali.
C’è qualcosa non solo di magico in questo dipinto ma anche di gioco, di buona follia e gran respiro, dato dalla luce che arriva da destra e sinistra e anche di fronte.
Grandissimo dipinto.
MarioB.
sai Marius, ho sempre pensato che Antonello dipinga per enigmi, ma nella finzione della più evidente verisimiglianza. Questo ne fa un autore di fascino che incatena, come ogni domanda senza alcuna risposta.
strepitoso. (sono nefeli)
si dice che il “voyage en Italie”
dei pittori europei
era quasi obbligato,
-non solo per le innumerevoli opere d’arte che potevano ammirare dal vivo-
ma per la qualità stessa dell’aria,
introvabile altrove…
l’ “aria” di Antonello…
quella di Genova come di Venezia,
di Napoli, di Messina…
nella quale i volumi
-di persone e cose-
sono collocati,
mi pare il più grande esempio
di nitore spaziale ,
degno ed imprescindibile,
dalle forme stesse.
Il completamento della genialità, essendo fatta dalla scelta, l ‘uso, l’applicazione del colore.
amo molto la Pietà con tre angeli
in cui non sai dove finisca
la luminositàl esterna e comincia quella interiore.
La pittura è poesia silenziosa… la poesia è pittura che parla.
Valeas
Di Antonello ci credi che avrei tanto tanto da dire?
A partire dalla luce dei quadri che “è” (ancora adesso) la luce di Messina. Troppo… Rinuncio.
Non posso passare il tempo a commentare i tuoi post come meriti e come potrei, ci sono tante cose da fare: i capelli per domani ad esempio, un Gala è un Gala. 🙂
Però qualcosuccia la devo lasciare, almeno per completare la galleria.
Una è il Polittico di San Gregorio (così>
L’altro è il San Sebastiano (che già proposi chez moi, a Oz, http://farolit.splinder.com/post/5267215#comment ) durante un “Dialoghetto naurale” sul corpo.
E ci sarebbe tanto da dire su questo Bastianuzzo terso, pinto, dolcemente arreso quasi fosse tutto uno scherzo.. e quelle frecce che paiono farfalle. Ma è tardi.
E poi ne ha già detto assai bene Sciascia concetrandosi sulle figurine sullo sfondo sfrante dallo Scirocco. Ce n’è una affacciata al verone che è uguale alla mia dirimpettaia.
E’ tardi … tra le ciarle profuse avrò sicuramente profuso refusi. Lei mi perdonerà vero?
Qualcosa si è inghiottito il Polittico…
riprovo:
Una è il Polittico di San Gregorio
di cui ebbi l’intimo e segreto (ora non più!) privilegio di conoscere i misteri (quasi invisibili) grazie al restauratore che la restaurò e me li rivelò; uno per tutti, il più emozionante, l’impronta di Antonello sul bavero del manto della madonna.
Ciao Mangino, sono redrum, e ti ho già lasciato un messaggio rimasto anonimo in cui mi profondevo in citazioni per otrvare una genealogia di silenti da accostare alla poesia di Antonello. Che dire se non che la sua metafisica è così vicina alla nostra per inafferrabilità. Antonello potrà sempre sedurre perché potrà sempre sfuggire alle gabbie interpretative. Mi viene in mente il suo S. Girolamo. Profilo di studioso che legge ( e già cosa legga ci sfugge, possiamo solo accostarci a quel profilo assorto, perché Antonello ritraeva anche nelle scene e nei dipinti di”storia” e non era cosa diffusissima in quegli anni, almeno non era semplice cavarci qualcosa di buono). Poi il Pavone, fuori dall’arco di proscenio, anch’esso impettito e regalmente di profilo, il cui sguardo svaria dalla parte opposta a quello del santo studioso, verso un fuori quadro forse soltanto immaginabile. Lo sguardo del divino nel momento in cui si manifesta, sfugge, al centro dell’Umanesimo che noi vediamo così ottimista sulla visione e le sue forme. Niente forse è così eloquente riguardo alla poetica di Antonello, una ricerca che si giustifica in sé stessa, nella sua architettura lieve
ciao nefeli, ogni volta che ti leggo penso alle nuvole.
cara madeinfranca, viviamo dentro un quadro ma non lo sappiamo, e facciamo di tutto per snaturarlo e avvilirlo. salvo quando qualcuno ci fa notare quell’aria, quella luce, quei colori che noi non vediamo.
Anche a me piace molto la pietà con gli angeli: tutte quelle linee aguzze mi entrano nel cuore, come lacrime appuntite.
Ave Pseudolo, Simonide aveva già visto tutto…
farolit, sirena dello Stretto, so bene che tu e Antonello avete antiche frequentazioni, da quando discutevate di luce seduti al di sopra delle magnolie secolari, o quando lui ti mostrava le sue impronte segrete dentro i colori e le forme… e so per certo (me lo ha detto lui) che aveva in mente un certo affaccio e una certa finestra, quando immaginò quel mondo dietro Bastianuzzo, quel magnifico pre-testo di Bastianuzzo (lo sapevi che una volta volevo fare collezione di sansebastiani, e che resta il mio martire preferito?). baci
redrum, il tuo commento aveva le impronte digitali, come il mantello della Madonna di Antonello, quindi non era certo anonimo, sta’ tranquillo. E sappiamo bene che non c’è ottimismo possibile: confrontandoci con la forma, ci confrontiamo necessariamente col mistero del suo manifestarsi e dissolversi, e con l’amarezza del buio, quale che sia la luce che vogliamo rappresentare. Siamo isolani, qui, e abituati al mezzogiorno di notte. un saluto,
arcipelaghi di isole che questuano metafisiche risposte,altro non siamo(“fammi morire si,ma nella luce”)
sì, siamo arcipelaghi, diamonds. e alcuni con più mare, dentro.
Io ovviamente voto per te. Perchè sia tu ad immaginare il percorso accidentato alla prossima settimana [artistica].
Ma intanto posso atterrare sull’isola, attraverso il tuo dialogo impossibile ed i tuoi occhi tersi, affacciati sul male e sul disperante senza essere malevoli e disperati.
Un abbraccio, Man…
attento Ethos. chi viene nell’isola non la lascia più…
(e comunque ho già scelto, per la Settimana artistica: un cuore di tenebra, che usa la luce per tagliare le vite degli uomini…)
Apocalypse Now…
[…] raccolgo la proposta di Ethos, e mi unisco alle suggestioni di Kiki, Biz, Serafico, Pensierointero, Manginobrioches, Lù, Nefeli … (e per favore, protestino pure coloro che inavvertitamente ho omesso). Rate […]