“Pronto?”.
“E allora?”.
“Papà?”.
“Papà”.
“Papà… ma da dove chiami?”.
“Oh non lo so. Non importa. Come stai?”.
“Papà, ma come…come è possibile?”.
“Non è possibile, forse”.
“Ma tu non credevi alle cose impossibili”.
“Ma tu sì”.
“Sì, io sì. E quindi non può essere, che mi stai dando ragione”.
“Sarà un’altra cosa impossibile”.
“Oh, papà”.
“Uh, non piangere, non so quanto possiamo parlare”.
“Sei felice, soffri, ti manchiamo?”.
“No, no, le domande le faccio io: siete felici, soffrite, vi manco?”.
“Papà ma che dici: certo che ci manchi, mi manchi tutti i giorni. All’inizio non sapevo come avrei potuto fare a continuare”.
“Poi si continua. Oh, anche qui, si continua”.
“Lì dove?”.
“Niente di che, non ha importanza”.
“Sì che ce l’ha. Ma c’è mamma, con te? Dove sei, che posto è?”.
“Ah, mamma, sì, l’ho intravista. Sai, qui ognuno sta per conto suo”.
“Come per conto suo? E il nonno? E la nonna?”.
“Ho detto che le domande le faccio io. Mio nipote è cresciuto, mi pensa?”.
“Sai come sono i ragazzi, dimenticano tutto… “.
“No, quelli sono gli adulti. O i morti”.
“Non dire quella parola!”.
“Va bene, non dico più “adulti””.
“Papà! Ma ti sembra il caso di scherzare?”.
“Onestamente sì. A te no?”.
“Beh sì, hai sempre ragione tu”.
“No, non può essere, che mi stai dando ragione”.
“Sarà un’altra cosa impossibile. Oh papà”.
“Dai, basta singhiozzi che non ti capisco, la linea è disturbata. Raccontami le altre cose: com’è il mondo, è migliorato? Tu sei sempre comunista?”.
“Certo che no, certo che sì: il mondo è peggiorato, e io sono comunista sempre più invano”.
“Semmai sempre più a proposito. Un mondo che non ha bisogno di comunisti è un mondo perfetto”.
“Papà! Non lo avresti mai detto, questo”.
“L’ho sempre pensato, solo che ora posso dirlo”.
“Ma da dove parli, con che cosa stai parlando?”.
“Uffa, non ha importanza: ho una voce, no?”.
“La tua voce, papà. Sai quanto mi manca: la voce è la cosa che se ne va prima, eppure che resta, là in fondo. Pensavo che non l’avrei risentita mai”.
“La voce è un’impronta, sai: qui ce le prendono quando entriamo”.
“Ma lì dove?”.
“E scrivi ancora?”.
“Certo che scrivo. Come potrei consolarmi, altrimenti. Non c’è consolazione, papà”.
“Sì che c’è. Ora lo so che c’è”.
“Tu sei consolato? Sei felice?”.
“Felice? Che parola bizzarra. Nessuno sano di mente può essere felice. Poi se è pure morto”.
“Non dire quella parola!”.
“Va bene, non dico più “felice””.
“Oh papà”.
“E basta, non posso sentirti piangere. Dimmi qualcosa di ridicolo: chi governa lì?”.
“In questo momento quasi nessuno. Abbiamo fatto le elezioni ma forse ci ribecchiamo un governo tecnico, se va bene”.
“Tecnico? Tutti i governi devono essere tecnici, sEE sono buoni governi”.
“Ma qui non abbiamo buoni governi dai tempi dei comizi curiati, papà”.
“E tu per chi hai votato?”.
“Sempre per quelli che perdono”.
“Ne hanno più bisogno, allora”.
“Papà, ma che mi fai dire, chissenefrega. Sto parlando con te! Dopo otto anni!”.
“Appunto, vuoi piangermi addosso tutto il tempo? Il Cavaliere che fa?”.
“Ti prego, non ricominciare. Non voglio litigare con te come prima. E poi ci sono un sacco di cose che non hai visto e non sai. Altro che imprenditore illuminato e giustiziere della magistratura”.
“Oh lo so, lo so”.
“E come fai a saperlo? Lì leggete i giornali?”.
“Figurati. La cosa più materiale che c’è qui è qualche nebulosa”.
“Qui la cosa più chiara che c’è è qualche nebulosa…”
“Ecco, ora va meglio, se riesci a scherzare. Comunque lo so: la crisi, la povertà, la paura. Queste cose arrivano pure qui senza giornali”.
“Ma lì dove, papà? E ora che succede?”.
“Niente, ci salutiamo e tu vai a preparare il pranzo. Sai ancora cucinare, no?”.
“Oh papà, pensi che ora tutto tornerà come prima?”.
“Certo. Succede praticamente da sempre. Fidati. Ora devo chiudere”.
“Papà, aspetta. Mi chiamerai ancora?”.
“Non so, forse sì, ma forse no. Qui è strano”.
“Papà, ti voglio bene”.
“Lo so, anche io. Ciao figlia”.
“Non mi avevi mai chiamata figlia”.
“Le cose impossibili succedono, figlia”.
clic
Per la festa del Papà, che era ieri, mi sono regalata una telefonata impossibile. Perché le cose impossibili, almeno, le puoi scrivere per farle succedere.
Questo è il bello di fare un mestiere come il tuo, cara Anna, scrivere di cose impossibili, lontane ma vicine e bellissime. Grazie
impossibile? tu rendi possibili le magie…
io non ce l’ho mai avuto un padre
io ho pianto pensando di telefonargli per dirglielo
ma come le concepisci? Da dove? In quale spazio cerebrale (in me evidentemente ottenebrato) si generano questi parti di fantasia illuminata?Io ho un sorriso sulle labbra e due lucciconi agli occhi. Solo tu puoi provocare questi fenomeni ossimorici. Ailoviù!
Scrivi e pensa anche per me Anna che io non ci riesco, nemmeno con la fantasia.
Questa che mi porti è un illusione che una volta tanto non porta amarezza ma calore.
Grazie.
“Onestamente sì. A te no?”
eh, ma che brava.
brava.
I miei occhi si sono riempiti di lacrimoni , di questi tempi pronuncio la parola papa’ solo per sentirne il suono . Grazie Anna !!!!
Brava Anna, mi hai fatto commuovere, mannaggia. E comunque fortunata te che riesci a sognare tuo papà così….papà. Il mio, le rare volte che lo sogno, mi ignora.
Capisci dopo. Quando non puoi più dire la parola papà.
complimenti Anna grande emozione nel leggerti….come sempre………Sara
Grazie per avermi fatto parlare con mio papà.
complimenti.
Ha il ritmo di un dialogo tra totò e peppino e lo struggimento di un sogno mistico. un abbraccio di ironia e nostalgia che sembrava impossibile. complimenti
Bravissima! Uno scritto bellissimo…. brava!
Che strano. Non ci conosciamo, mio padre non è stato un padre, eppure ti sento come una sorella. E ti voglio bene, Anna.
Grazie Piero. Queste parole mi toccano.