Entro nella stanza, mia madre solleva gli occhi: buongiorno, figlia.
Mia nonna chiude con un gesto la tenda dello sgabuzzino del sottoscala. E’ un luogo stretto, che finisce a punta e contiene solo meraviglie: alloro, limoni, angeli, noci, rocce di luna, sale grosso, prìncipi, castagne secche, aglio, chiavi, un macinino da caffè, estati, collane di sorbe, tintura di iodio, fantasmi, formaggio pecorino, coltelli, pepe nero, vendette, rosmarino, ciccioli di maiale, terracotta, armi da fuoco.
Mio padre prende il sole sulla panca, sotto la vite americana che allarga foglie aperte come mani.
Mio nonno pulisce il fucile, pensoso e metodico, allineando i pezzi sul tavolo di noce.
Mio zio Francesco, che fu ucciso a colpi di lupara in una strada aspromontana, si toglie il fango dalle scarpe, nell’entrata, e chiama sua moglie con un richiamo di cerbiatti, o foglie o uccelli di passo.
Il paese raddoppia, nel giorno dei morti. In tutti gli angoli c’è qualcuno intento a qualcosa, perché la vita è talmente indivisibile che nemmeno la morte ce la fa. Hanno portato castagne per la sagra, fiori per le lapidi, bottiglie per la fontana, pietre per i filari, ciocchi per la stufa, dolci di mandorla per la tavola: i vivi, che cercavano i morti, i morti, che aspettavano i vivi.
S’incontrano senza darlo a vedere, come assorti gli uni negli altri, percepibili solo in brevi trasalimenti, in spifferi di freddo, in pensieri improvvisi e trasversali.
Fa freddo, che non è un freddo strettamente terreno, in quest’autunno tropicale e confuso, dove i glicini si sentono autorizzati, e persino i tigli alzano la testa dal letargo, sobillati nelle loro profondità odorose di tarda primavera. E’ un freddo interamente montano e nitido, con l’effervescenza speciale dell’aria secca e sottile, asciugata dai castagni che si muovono mormorando orazioni. Più su, al Bosco delle Fate, i faggi scendono fermi e sottili verso il limitare della strada, sigillando il confine tra i mondi.
La cugina Càtera m’ha baciata sulla fronte: “Il mio cuore ti voleva vedere” m’ha detto, cogli occhi azzurri di certi laghi segreti della montagna. Poi è uscita, passando attenta tra le ginocchia dei morti vestiti a festa, seduti in silenzio nelle sedie del tinello, il cappello in mano.
Le zie, intanto, preparavano il sugo e le coste di capretto con le olive nere, e la nonna vecchia, bella come una colomba di centocinque anni, passava ad assaggiare col cucchiaio di legno, leggera come il fumo del braciere.
I morti si mettevano in posa per uscire nelle foto, dove apparivano come un disturbo d’argento, un’ombra della vite scontrosa, un sasso per terra, una trasparenza nella rete del cielo. Qualcuno mangiava lentamente i dolci: le ossa di albume e zucchero, la frutta di pasta di mandorle, i pasticcini di castagne. Non facevano briciole.
Il sugo sobbolliva, e dalla campana della chiesa pioveva un suono di metallo rotondo che s’allargava nell’aria cadendo a valle, entrando nella boscaglia impenetrabile sotto la quale si nasconde l’età sconosciuta della montagna. I morti scalavano le pareti di roccia, scendevano lungo i torrenti asciutti, attraversavano con calma i sentieri, portavano orci, sacchi di juta, canestri, reti per le olive. Gli ulivi rabbrividivano sotto la pelle secolare, stanchi da mille anni, pazienti da mille anni. Per loro siamo tutti morti.
“Ma siamo, tutti morti” diceva Catera seduta a capotavola parlando con nonna Vincenza, il bel viso ancora pallido per le febbri. Le zie si passavano la teglia di polpette, chiocciando. Zia Mariella tagliava il pane dopo aver benedetto il coltello, e posava le fette sulla tovaglia, come una comunione. Le mani si allungavano, dei vivi e dei morti, a prendere il pane e le benedizioni.
Eravamo tutti lì attorno, vivi e morti, con pensieri e dolori e gioie che c’attraversavano a casaccio, e nessuno sapeva dire di chi fossero, o da dove venissero. Fuori, il buio s’andava raccogliendo fin da mezzogiorno – come fa sempre (c’è quest’inganno della luce nascosta sotto il buio, e del buio rivestito interamente di luce, che non sappiamo capire) – spandendosi sotto la pelle delle contrade, raccogliendosi piano nelle conche, infilandosi sotto i cespugli bassi. Non lo sapevamo, ma ce lo sentivamo tutto attorno, come un cerchio attorno al cuore.
Sto piangendo lo sai?
Le cose che scrivi così bene, così profonde e leggere, toccano corde silenziose e nascoste e le fanno suonare o piangere ( a volte suono e pianto hanno la stessa voce).
Alla tua tavola, con i tuoi morti e i tuoi vivi, ci sono anch'io con i miei.
Stessi cibi, uguali i profumi e i sapori e le storie e gli sguardi.
Grazie te l'ho già detto tante volte e non basta ancora.
Tu continua a raccontare che io ti ascolto…
struggente, per tutti noi che abbiamo ricordi
La vuelta di Mangino. Bella e saborosa. 🙂
poche persone sono splendenti dentro e fuori come la briosc
Anche le tue parole non si sa di chi siano e da dove vengano, forse dallo sgabuzzino sotto la scala che contiene solo meraviglie.
Sì, perché le tue parole non sono tue, sono dei morti, sono i loro pensieri con i quali tu pensi, sono i nostri pensieri che affiorano indistinti e con esse si incarnano e vanno da qualche parte; così, descriviamo la vita con le loro parole e per noi acquista il senso che loro le hanno dato.
Poi, ogni tanto, qualcuno come te dipinge la vita come un quadro di Bosch e ce ne colma lo spazio che poco prima ci sembrava vuoto, e vediamo che la vita è sempre stata lì.
Sergio
Come parli tu con le cose… nessuno
Bella, emozionante molto brava!
Antonio gallo
Ohi ohi, che bella cosa hai scritto… Ancora.
Cara, torno qui dopo un po' di tempo. Mai come quest'anno ho avuto bisogno di leggere parole così. Grazie
Giorgia
Emozionante ! brava
Claudia
semplicemente sublime…
adoro il tuo modo di scrivere!
Ho qualche foto da cui esce qualcuno che è morto. È una cosa alla quale non avevo pensato, questa "funzione" della fotografia.
Grazie, Anna*… Hai reso questo giorno più vivo***
anch'io sono commossa. le storie che racconti, il modo in cui le racconti, s'avviticchiano strette strette intorno alle pareti dell'anima, s'intrecciano di tenerezza e nostalgia, sciolgono i grumi induriti del disincanto, fanno vibrare corde profonde, liberano dalla scorza indurita del tempo la maruzzella che ero, che oggi avrebbe proprio voluto tornarci, a tutti i suoi morti che sono vivi e ai tanti suoi vivi che sono più morti dei morti stessi. grazie di avermici riportata.
Sto piangendo lo sai?
Le cose che scrivi così bene, così profonde e leggere, toccano corde silenziose e nascoste e le fanno suonare o piangere ( a volte suono e pianto hanno la stessa voce).
Alla tua tavola, con i tuoi morti e i tuoi vivi, ci sono anch'io con i miei.
Stessi cibi, uguali profumi e i sapori e gli sguardi.
Grazie te l'ho già detto tante volte e non basta ancora.
Tu continua a raccontare che io ascolto…
delicata meraviglia.
brava! oggi c'era la musica di piero milesi ai morti. db
Brio, sei sempre magnifica … le tue pagine vivono di vita propria, prendono corpo e si materializzano pian piano … ti costruiscono un mondo tutt'intorno e ti ci ritrovi dentro….
Marialuisa
Grazie a tutti voi. Siamo vivi, mi dico che siamo vivi.
Grandissima Bruioscia…what else? Tutto hai detto…_) Matteo…
Bellissimo. E questo giorno, che per me ha in sé il vuoto antico lasciato da un fratello giovane e tante assenze ancora vive, ma anche la gioia fresca per la festa dell'amica del mio cuore, è proprio così: i morti e i vivi si incontrano e le gioie, le gratitudini, le memorie e le tristezze si intrecciano.
Grazie.
claudia di paolo
Poesia e narrativa si confondo.
Augusto
Grazie per questa meravigliosa storia ,
la famiglia patriarcale e pure matriarcale , qundo serve , un sapore un languido ricordo dell'infanzia , che mi raccontava mia madre , qundo le famiglie si riunivano in una stalla , chi seduto su una panca chi sul fieno, stavano al caldo negli inverni gelidi del Monferrato .
Per noi , io sono di genova, il ricordo dei Morti non è così bello , palpabile, li si ricordano con i fiori ed un cero accanto la tomba .
Troppo poco per chi ha vissuto per noi ed accanto a noi .
Sono felice per Te che hai nel cuore e nella mente e vivi quel giorno in Loro comapagnia .
Ancora grazie e a risentirci
bellissimo.
velia
Mi piace questa tua coniugazione suditaliana del realismo magico (e mi piace pure assai quel quadro di Felice Casorati che hai scelto come illustrazione).
Non sempre la veggenza rende infelici.
..e' che c'è un'Italia di brava, e sana, gente…
ATTENZIONE !!!
Splinder chiude?
Leggete questo post:
http://curiosidelmare.splinder.com/post/25743416
che fortuna per la famiglia avere te!
Aiutaci ancora a ricordare.
Stefano D’A……….
Le Sue righe inducono me, lettore, ad andare avanti nella lettura per scoprire l’intera storia e nel contempo a tornare indietro per carpire quanti piu’ dettagli possibili dei vivi e dei morti… Complimenti! In questi giorni ho letto il Suo nome su una pagina facebook e mi son ricordata del Suo Blog, del quale anni fa mi parlo’ un maestro per me ed un collega per Lei, e l’ho cercato. Felice d’avere assaggiato una brioche…
Bellissimo. Ho i brividi. Emozionante.
Alessia Franco
straordinaria Anna
Riti…gesti antichi, ricordi e momenti. Un vissuto che assomiglia alla storia umana: la nostra. Ci raccogli nei ricordi, ci inviti a non dimenticare e ci indichi un passato di quotidiana ricchezza. Quel passato che conteneva l’essenziale, che possedeva la capacità di essere e sentire nella profonda semplicità delle cose. Forse è solo nostalgia. Ma può bastare. Ciò che conta è non dimenticare chi siamo stati. Come dovremmo essere in questo nostro futuro.
Marta
Grazie, Anna, per le tue parole piene di vita e d’amore.
questop pezzo è un’opera d’arte, un gioiello di famiglia, più importante del Koo-Hi-Noor, quel rubino segreto che dorme nel velluto.
Ritorno qui, anche quest’anno: “il mio cuore ti voleva vedere”.
Lo rileggo a distanza di un anno e mi emoziona ancora. Anche se non è mia consuetudine frequentare cimiteri e chiese i miei morti li ricordo sempre e ciò che hai scritto vale quanto una preghiera, se ci credessi. Che dire? Ti abbraccio, cara amica. Bruna
stellare!
L’ho sempre detto che scrivi come una padreterna. Questo pezzo me l’ero perso . Quest’anno volevo scrivere anche io sul 2 Novembre. Intanto salvo il tuo. Giù il cappello!
Erano anni che non leggevo un racconto così bello… un capolavoro… grazie!
Molto brava.
Come ogni anno lo ripubblichi su facebook, così ogni anno lo condivido emozionandomi ogni volta come se fosse la prima. Grazie, Anna.
Grazie, hai revocato in me bambino il ricordo di quei giorni vissuti lontano nel paese dei nonni e mentre si stava con loro a tavola noi bimbi fantastichevamo sui racconti che sentivamo dei morti che venivano raccontati.
E un po’ prendevamo il loro posto in quei racconti…
Chapeau! Grazie Anna.
Grazie a te la poesia nel giorno dei morti è più viva, respira e dà fiato.
L’ha ribloggato su Tiziana Campodoni – Blue moon e ha commentato:
Troppo presto per me avere parole per dolori taglienti come lame acuminati come cristalli ruvidi come sabbia su ferite aperte e fradici di gocce di mare… “O dolce padre, volgiti, e rimira com’ io rimango sol, se non restai” (Purg.IV) … Ma lui non può più voltarsi, ne’ può rimanere. Mi slegherò da quell’abbraccio, lascerò la tua mano e forse smetterò di venirti a trovare di notte, saltando il fosso, sul grande prato sotto il grande castagno…”tu t’arcord, ba’?”… Forse quel giorno avrò le parole… Per ora posso solo far posto a quelle lievi e profonde, radicate e libere, morbide e musicali di una donna con “intelletto d’amore”…
Grazie Anna…
Lei ce l’ha …
bello,veramente bello
E’,COME SEMPRE,UN RACCONTO STUPENDO.Si avverte il calore umano che supera ogni reticenza e l’impossibile abbandona la leggenda per divenire reale.La descrizione meticolosa eppur lieve,ci regala un quadro che desidererei
immortalare per ammirarlo…ma sono le parole il vero incanto,l’impasto dolce come i dolcetti di albume e zucchero…e il
sapore non lo saprei disegnare.Grazie.ADELE.CUSANELLi
Sentivo il bisogno di un racconto così, di morti vivi in tempi di vivi morti.
E la mia solitudine, in questo anno lungo come un secolo, riconosce sorelle le tue parole.
z
Anna, io me lo ricordavo bene questo pezzo (il che è tutto dire, considerati i fossi, oggi, nella memoria). E allora mi sono attardato qui a casa tua, godendomi altre storie che ricordavo, gli appunti della casa che muore, tanto per dire. E ho fatto un salto anche in altro non luogo polveroso dove una volta scrissi che “Per me il mese dei morti non finisce, è soltanto un silenzio interstiziale”. Ti abbraccio forte, e grazie
Oh mio caro, certe volte penso che siamo noi, i fantasmi. Ti abbraccio anch’io, e ricordo.