Eccolo. Il soffio.
Il mondo non è morto, murato nella calce viva del caldo. Respira debolissimo, tenace.
Il soffio nasce da qualche piega inspiegabile dello Stretto, in certi territori marini profondamente nascosti, a capofitto nel blu ermetico del Tirreno, quello che sfuma nel viola acceso quando incontra le ossa nascoste dell’Aspromonte, sotto Scilla, Palmi o Bagnara, o i nomi greci che sono state. Il soffio passa sulla tolda ritta della nave, che spezza la calmeria interminabile con la brace dei motori, le stanze dei fuochisti che spalano carbone, circondati di fiamme e fumo dentro il ventre dell’acqua – che è uno dei miracoli degli elementi, o forse del luogo.
Il soffio si trasmette, impercettibile, alle barche immobili davanti alla Passeggiata a mare, fronte alle palme: zitte, le barche e le palme, faccia a faccia. I sedili di granito, la fontana ferma, sospeso persino il lavorìo delle formiche tra le commessure delle pietre. Eppure il soffio passa, remoto e antico come la sorte, dio o il caso.
Il soffio attraversa la piazza – il bianco della pietra riflette il bianco del cielo, la voragine del sole che inghiotte linee, forme, superfici. Il soffio passa la strada, l’esalazione di catrame dell’asfalto, le traversine del tram luccicanti come baionette. Le pensiline non fanno ombra: l’ombra se l’è inghiottita il mezzogiorno africano che promette d’essere eterno. La terra è verticale, esposta da tutti i lati, inchiodata e senza palpebre. Ha labbra di salgemma, vene piene di sabbia.
Ma il soffio muove pianissimo le magnolie, le loro foglie di verde duro a forma di lancia, oblique per opporsi al caldo, originarie per opporsi al tempo. Gli alberi sono solo disegnati, non c’è niente di reale nella piazza del municipio: né i lampioni di ghisa né le aiuole né i cestini di latta. Ma ora passa il soffio, sfiora i segni sul muro, l’angolo strappato del manifesto, il gazebo umbertino, la buccia rasposa dei limoni che non trasuda nemmeno l’odore d’agrume alcolico e tenace.
Il soffio rianima i glicini, le siepi di pitosforo, i davanzali uno per uno. Il soffio mulina, s’avvolge, s’allarga impercettibile. Carico di glicini, pietra, clorofilla, alluminio e scontento s’ingrossa, s’impenna. Si stende sul vivaio fossile, sulla pietra porosa dei monumenti funerari, sull’ossido delle cancellate; precipita nel cortile dell’ospedale, in mezzo ai fusti, alle cartacce, ai fiori morti.
Torna a gonfiarsi, vola sui muri di cinta, allarga braccia o ali o impalcature di vascello, vele o incannucciati di piume, foglie, rampicanti. Il soffio invade il cielo per intero, salutato da drappi, bandiere e panni stesi.
La città si rianima di colpo, riprincipia a respirare pesante, col suo catarro vecchio di palazzina, di disincanto. Il ronzìo dei condizionatori fa rumore di sciame, si mescola alla nota profonda dei cantieri, al muggito dello Stretto – dèi incatenati, mostri marini, trivelle petrolifere. Siamo tornati.
Il refolo
28 giugno 2007 di manginobrioches
Un bel sollievo:-)
Cara Brioscia, tu sei brava a scrivere e a me, fino a un po’ di tempo fa, non dispiaceva leggerti (anche se spesso facevo fatica a capire che cosa davvero volessi esprimere nei tuoi post. Avevo l’impressione che la forma ti prendesse un po’ troppo la mano). Ora però ho diradato le visite al tuo blog, un po’ stanca. Mi piacerebbe vederti alle prese con post che non raccontino per forza della tua sterminata famiglia Marquez/Allendiana, dello Stretto e di Messina e della Sicilia e del vento e della calura e dei soffi di vento. Vorrei leggere un post privo di quegli improbabili elenchi (intrugli di peccati, bocconi di magia, volumi di sensi di colpa…ecc. – hai presente?). Insomma, perchè non ti cimenti in un altro tipo di scrittura, così, magari solo per fare un esperimento? Perchè non trovi un nuovo modo di raccontarti e di raccontare il mondo, un po’ meno barocco?
Ti chiedo scusa se ti ho involontariamente offesa.
Con simpatia
Annamaria
Quella che precede mi sembra una critica costruttiva.
cara Annamaria, la risposta al tuo perché è semplice: perché no. Questo ho da dire e solo questo modo ho di farlo. Non sono abbastanza brava né abbastanza motivata da farlo diversamente, altrimenti, forse, invece di perdere tempo su un blog scriverei da qualche altra parte. Ma io sono una perdigiorno meridionale e barocca, con una famiglia sterminata (fantasmi inclusi) e un’immaginazione piuttosto limitata. Grazie per le tue visite passate, e per il futuro ti auguro blog molto più lievi e divertenti di questo (o magari di aprirne uno tu, e raccontare glaciazioni, metropoli o famiglie di single, o quel che ti pare). Con stima e simpatia, brioscia.
Il refolo ha salvato da una torrida e statica morsa Te e i tuoi luoghi, e tutte le cose che , pur inanimate, hanno sofferto insieme Te.
Sono stati giorni di incendio, di allarme, anche dalle mie parti. Eppure io vi ho colto il fascino perverso degli eventi eccezionali, quelli che, per vie oscure, e non senza istillare apprensione, anticipano un sovvertimento, un rimescolamento epocale.. un calore al limite estremo.. foriero dell’arrivo di extraterrestri, o della rivelazione del mistero della vita, o che più modestamente bruci tutte le brutture umane..
Poi anche qui è stato avvertito un flebile e timido refolo, ha pervaso gli interstizi porosi tra la peluria riccia della mia pelle, ed ha riportato di sotto una fresca ed ordinaria rassegnazione..
[Quando ti ho letta, stamattina, mi hai scaraventato in un librettino prezioso che non avevo con me. Aspettavo di tornare a casa, e mi perdonerai se ruberò un po’ di righe qui, dove vorrei trascriverti le tre pagine di refoli che idealmente si uniscono al tuo. Un abbraccio affettuoso, intanto].
Tempo di Siciliana e Cadenza«È comunque l’assoluta trasparenza e pienezza dell’ascolto a rendere praticabili con la massima perspicuità queste procedure dello sguardo: l’isola ha la forma di una concrezione sonora, si diceva; conchiglia – ma anche trottola – tesa ad una produzione costante di silenzio, colore sonoro (come il nero sulle tele di Georges Braque) steso uniformemente a creare, incolore, un sistema di riferimento più omogeneo ed operativo del “fondo” visivo. E del silenzio – in questa sua forma – tutti i suoni s’impregnano e lo misurano, e vi si definiscono acquisendone corporeità ma lievissima, come una fresca, acquorea spazialità musicale…Così, ogni mattina, quando non ci sia mare grosso, sbarca dal primo aliscafo proveniente da Lipari un uomo giovane e forzuto, tarchiato e dalle fattezze contadine. Egli ha con sé una sorta di triciclo per poter guidare, sui sentieri dell’isola, come fosse un gelataio, un contenitore-frigorifero carico però di varie qualità di pesce. Dispone di una voce tenorile molto estesa. La possanza del suo fiato ricorda quella dei mantici da fabbro ferraio o degli organi a canne ecclesiali. E, dal momento in cui sbarca sul molo assieme al suo strano veicolo, fino a quando non torni a imbarcarsi nel primo pomeriggio, egli punteggerà il suo percorso isolano con l’urlo, scanditissimo, delle parole “pesce fresco!”. E l’ultima o!, piena e tonda come dev’essere, varierà continuamente intonazione approdando – a seconda dei luoghi, dei momenti, dei climi, dell’andamento delle vendite – negli ampi territori di una felice consonanza, in tonalità maggiore, o in quelli più tortuosi delle cadenze evitate con procedura interrogativa, o, infine, in quelli, in tonalità minore, di qualche dolorosa incitazione, persino di qualche raro, dissonante lamento. Talvolta le circostanze daranno vita a un epiteto di attualità: esso verrà sicuramente incorporato, estemporaneo, magari l’espace d’un matin, per corroborarne la portata, per esserne esso stesso collaudato… Ma, al di là del colore, ogni lancio vocale, alla maniera del richiamo del muezzìn, ma da una sorta di minareto ambulante, definirà con precisione la qualità delle relazioni che – da quel luogo, triangolato con quello dell’ascolto – possono stabilirsi col silenzio circostante, indicandone spessore e dinamiche interne: e il sondaggio, regolarmente ripetuto» a ogni snodo dei molteplici percorsi, configurerà così ritualmente una mappa generale pur effimera, del silenzio – una improbabile topografia dell’isola! – valutandone per di più umori, consistenze, spessori, generosità o reticenze per mezzo delle sequenze degli echi di quest’ìlare trivella vocale…Un silenzio parlante, dunque, a rivestire sontuosamente di sé l’isola-conchiglia, degraderà fino all’orizzonte – anzi alla molteplicità degli orizzonti – per mutarsi nella sostanza stessa oggetto di quel sistema di sguardi cui dianzi mi riferivo: anzi, volando sul mare, ne trarrà forza dinamica e sonora (pur modellandolo): e il silenzio diverrà voce, onda, muggito e raffica… Diverrà vento! Ché i venti, respiro vitale dell’isola, lì “entrano” di soppiatto, come per generazione spontanea, e nulla, prima, ne segnalerà il discretissimo, subitaneo uscire di scena non senza avere comunque definito un altro tempo – sovrapposto all’immanente tempo isolano, lento e silente – più corrucciato, irregolare e palpitante: unica misura possibile – nel suo doppio ambiguo pulsare – della suprema, altera, imprendibile identità del vulcano.Così l’ingresso nel mare o la salita ai crateri – ma il solo vivere sull’isola! – assumeranno un valore ritmico molteplice, quasi probatico: e i venti, le onde, i passi, gli scoppi, le eruzioni saranno i segni, altrimenti imperscrutabili, di un ripetuto, ideale e irrinunciabile possesso amoroso… E ancora: la vibratile luminescenza delle sfere celesti, lì visibili, nella pienezza armonica delle notti stellate, assieme al concento dei venti ed alle voci di qualche volatile mattutino, ti confermeranno che tu ami Stromboli in quanto ti sarà riuscito il dissolverti musicalmente nel suo spazio-tempo, acquisendone – a tratti – come posseduto, la stessa sua misteriosissima ma proterva identità».
Sono sbadata… Il libro dei refoli è questo. 🙂
ora si…
io refolo
tu refoli
egli refola
… ma non ce ne eravamo andati, eravamo nel sospiro, trattenuto, quando il respirò torno.
come tornano i fatti alle parole
🙂
Mi sono aggrappata al soffio e ho volato con lui, sorvolando la tua terra e i tuoi pensieri… Ciao. Chocolateberry
*
…vedi che significa portare il peso
d’ a’ Gigantissa…
tua madre,tu matri,tu Mata,
tuMAttaTantoAmata…
oh…il “rocchetto” di (rè)filo
che dipani con la tua scrittura !
bisousboufféesdevent!
*interpolazione di
“vento” di ennio calabria
Io aprire un blog? No Brioscia, ti ringrazio, ma non ne sarei capace – vedi, io, al tuo contrario, non ho alcun talento nello scrivere, mi basta e mi appaga leggere – e spero che tu non abbia frainteso la mia…critica costruttiva, come l’ha definita l’anonimo dopo di me. In realtà in me c’era banalmente e soltanto il desiderio di conoscerti in un modo più profondo e diretto, perchè a volte ho la sensazione che di tutto quel barocco tu ti serva anche un po’ per nasconderti (e infatti mi piacevano molto i corsivi che per un periodo mettevi alla fine dei post. almeno quelli ce li potresti regalare ancora, qualche volta!). Con ricambiata stima – sperando che in quella che mi hai dichiarato non ci fosse sarcasmo.
Annamaria
e ascolta Annamaria. Scendi giù dalla tua colonna attorcigliata( tipica dello stile barocco) e raccontaci di storie di giannizzeri e amebe. senza troppi barocchismi…Messaggio per Annamaria: il sarcarmo è la farcitura principale delle sue brioscine….
Davvero secondo te era sarcastica la stima che brioscia mi manifestava alla fine del suo post? allora non ho capito nulla di lei, mi dispiace. o forse è lei a non avere capito nulla di me. l’avrò sopravvalutata, e magari mi farà il pelo e contropelo – farcito di sarcasmo, ovviamente – anche dopo questo post. forse a lei le critiche non piacciono, costruttive o meno che siano. bè, è un limite molto frequente, dopotutto. peccato.
Nostra Signora Alle Strette,
dacci oggi il nostro barocco quotidiano
e rimetti le nostre indebite intromissioni
e liberaci dal pane (dacci le brioches)
Cosissìa, piacendo a Vossìa.
il refolo… bella parola, mi attraggono i refoli, ancche se preferisco el refolo…
orrenda battuta di cui chiedo venia, ma sai, la pubblicità è l’anima del commercio