Non bastavano mai.
C’era sempre qualcosa di più che si poteva fare. Per tenere fuori gli spiriti maligni, il malocchio, l’alito dei morti scontenti. La carestia, la siccità, il malumore dei castagni, il veleno dei vicini che scorreva sotto la terra e faceva amara l’acqua. L’invidia degli dei, che era un occhio acceso, un sole d’ingiustizia che poteva bruciarti vivo. Il fulmine, la grandine, la peste dei maiali. La malasorte, dio, la politica. L’amore, certe volte.
Mia madre s’era portata in città tutte le forme di cautela e protezione, e pure non bastavano. Che la città s’era inventata altre forme maligne, altre cose oscure che premevano contro la porta di casa chiusa con quattro mandate e con i tubi d’acciaio che entravano nel muro. E chiusa col sortilegio delle scope di saggina, col filo del coltello, gli occhi sbarrati della Medusa, lo sguardo di ceramica vetrosa delle maschere, le punte dei peperoncini secchi, i nodi nei capelli intrecciati.
Mio padre montava l’antifurto col cacciavite americano, le sopracciglia aggrottate sul suo solito silenzio, mia madre lo guardava con le braccia sui fianchi, e pensava a come rinforzarlo. Quella volta tentò di comprare gli occhi.
No, non occhi di Santa Lucia – la santa col vassoio d’argento, che poi qui si chiama la spasa, la spasa d’argento con gli occhi posati sopra, e sono occhi miracolosi, perché conservano lo sguardo. Nemmeno gli occhi di rana, gli occhi di pollo, gli occhi di pesce che mio padre si mangiava ogni volta, goloso di quel loro gusto duro e gommoso, e le zie gli portavano la testa del pesce, a tavola, e dicevano: Pino, gli occhi sono di Pino, e lui con la forchetta li tirava fuori, e li mangiava, e c’era chi si disgustava ma io capivo che era importante, che era interamente suo, quel gesto, nel mondo di sortilegi tessuti dalle donne che gli sfuggivano tutti, e ora lo faccio pure io, con la forchetta faccio saltare l’occhio, avvolto nella sua gelatina, e poi lo mangio come se fosse – è – una comunione, comunico con mio padre, con le forze apparecchiatte attorno a noi, attorno al cerchio che siamo quando ci riuniamo tutti per mangiare, gli occhi rivolti in dentro, le porte ben chiuse e sigillate dai gesti, dalle parole, dai nodi.
Mia madre, comunque, comprò una manciata d’occhi di vetro blu con la pupilla nera, che stavano in una ciotola, tutti rivolti in fuori, a combattere la battaglia dell’invidia e del malocchio, contro gli sguardi che volevano entrare in casa, che volevano pezzi di noi.
Il mortaio di bronzo, la civetta, il campanello sullo stipite, il chiodo di ferro, la terra nella ciotola: mia madre e le zie non lo sapevano, ma fabbricavano simboli, cercandoli con le mani nude in mezzo al traffico delle cose, dei materiali, degli oggetti. Li plasmavano, conferivano loro il potere di fare e disfare e rifare.
Quando entravi, era la carezza dei simboli che ti scorreva sulla fronte, così lieve che nemmeno potevi sentirla. Allora era più facile stare dentro la casa, i suoi camminamenti segreti che non coincidevano, non esattamente, col corridoio, le stanze, il sottoscala a punta, la cantina, il terrazzo. C’erano passaggi d’aria dove potevamo muoverci a nostro agio, camere che ci facevano entrare, luoghi sensibili dove la casa s’adattava a noialtri, coincideva con la nostra forma segreta che noi stessi ignoravamo.
E poi fuori, fuori da casa i demoni non potevano toccarci. Portavamo un capo della rete di simboli che ci legava, ci proteggeva, ci tormentava con la sua ininterrotta benedizione.
Lo so, lo so, è domenica prenatalizia e siamo tutti turbati. Io ho una contesa aperta con questo Natale così povero di simboli, perché mi è difficile rifarmeli tutti da sola, anche se ci provo: colleziono mani, pietre, memorie, segni d’altro. Ho ereditato molte cose della casa vecchia, e li metto qui e li curo sperando che facciano radici e piano piano levino in alto i rami della casa invisibile, la casa-bosco che ha un cuore interamente nascosto. Ma ci vuole tempo, ci vuole fede, ci vuole insistenza dell’anima.
Devo anche qualcosa ad Aquatarkus e AdriX, che con la loro narrazione interattiva e in progress – che vi consiglio di provare, perché è una declinazione delle possibilità di questa immensa blogsfera dell’immaginazione – mi stanno facendo riflettere sulla natura dei vestiboli, dei percorsi necessari, dei simboli di cui abbiamo bisogno per illuderci che siano i gesti, i fatti, le cose a costruire ed aprire le vie.
Sono un dono augurale, queste tue parole. Non sai quanto le senta perfette su di me, come un vestito cucito a mano. Grazie tesora. Di tutto.
:-***
Credevo d’essere rimasto il solo a mangiare gli occhi dei pesci
no, pure io. ma è un fatto compulsivo
Ho una scatola vecchia di Veramon, di bachelite verde oscura,
avrà settantanni, forse più,
l’ho ereditata da mia suocera,
che se ne andò la scorsa settimana.
Sopra vi sta figura di volto di donna stilizzato,
con le dita delle mani che coprono gli occhi,
sembra che dica che il passo è ignoto
e la scatola è vuota.
Mario
è come mi dicesse
è come se dicesse che il passo è ignoto
e la scatola è vuota,
scusa,
Mario
Chissà quali sono i “segni d’altro” che collezioni.
Sono almeno un ponte verso il momento (passato) in cui sono stati raccolti e finchè continuiamo a collezionarli forse in noi rimane “acceso” qualcosa.
Chissà quali sono i “segni d’altro” che collezioni.
Sono almeno un ponte verso il momento (passato) in cui sono stati raccolti e finchè continuiamo a collezionarli forse in noi rimane “acceso” qualcosa.
L’alito dei morti scontenti è un titolo bellissimo per un racconto. Letto con piacere.
Poi sento che anche fuoridaidenti mangia gli occhi (e come fa?)
Certo, mica facile ricostruire tutta la “copertura” apotropaica che occorre… di ‘sti tempi poi.
Ognuno deve farsi la sua e combinarla con quella degli altri (gli altri buoni), in una rete vituosa e amorosa che fa scudo alle frecce avvelenate, alle punte aguzze e scure della malasorte. Sì sì, anch’io, ad esempio mangio gli occhi di pesce. insospettabilmente.
E scambio con te, Brioscina , brillocchi luminosi che lancino luce buona, una luce che abbagli e scongiuri il male e gli dica “statte accuorte”. E quello, il Male, lo sa… quando ti vede luccicare se la fa alla larga, brillocca mia.
🙂
Ho sorriso e ho pensato a “Io ti salverò” di Hithcock, con Gregory Peck e Ingrid Bergman. Un film talmente intriso di simboli (e affollato da molti occhi) da essere diventato esso stesso un simbolo dei simboli, per me. Sei riuscita a pescare un bel numero dalla roulette del subconscio a questo giro, carissima. Grazie. Come al solito sono sempre in debito.
Mai mangiati occhi di pesce. Mai visti in casa mia civettine, campanelli, chiodi e altro di questo armamentario. Non ne sento in verità la mancanza. Mi bastano, come immagine simbolica, gli scaffali, i dorsi allineati dei libri, il loro sorriso, se proprio devo rivolgere lo sguardo a qualcosa che mi accarezzi e mi dia forza. Ed è sempre lì che in grande misura celebro la mia comunione tra i vivi ed i morti.
perchè non è così?
Questo racconto è molto bello, per certi versi rianima suggestioni legate alle mie origini partenopee… forse, però, è proprio a causa di queste ultime che avrei preferito un’estetica della superstizione (e di certa simbologia) un pò più viscerale e vUlgare (nell’accezione più classica del termine)! A parte questa, che è una considerazione personale, come dicevo, mi è piaciuto moltissimo… e anche questo blog, che si visita sempre con piacere!
Saluti D
Mari’, mangio gli occhi dei pesci e mangio invece le brioscine con gli occhi (di pesce, sì, stamane, che il uicchend si straviziò)
che strano destino, perché poi, ai morti annegati, sono i pesci che mangiano gli occhi.
E’ tutto uno scambiarsi di sguardi, allora, tutto un conquistare occhi, tra questo mondo e quell’altro (che poi il pesce è un simbolo, e non solo cristiano)
Si Manginosimboli, allora, macerati e frollati e mantecati e guarniti e farciti e cotti.
A volte si ingraassa pure, per un eccesso di simboli e stravizio
Placida, abbiamo gli sgabuzzini dell’anima sempre pieni di simboli. A volte li riconosciamo in quelli degli altri. Un abbraccio
fuoridaidenti, mai pensare d’essere i soli a fare qualcosa. la specie è ripetitiva, per fortuna. (però magari sei il solo a saperlo scrivere in un certo modo…)
Commare Flo’, dimmi: cosa c’è di non compulsivo, in quello che facciamo?
Mario, il passo ignoto e la scatola chissà. Passiamo la vita a non saperlo. Ti abbraccio
cronomoto, non so mai quali sono i segni. lo so dopo, in genere. quando m’hanno segnata. però è vero: i segni ci tengono in vita.
MariaStrofa, non ti resta che scriverlo (il racconto). Il bello qui – dico nel web e nei blog – è anche questo: ogni scrittura ne contiene altre centomila potenziali. (e questo è già un prossimo post).
farolita mia querida, la cosa più apotropaica del mondo è l’amore, e le sue reti incantate, anche se a volte hanno maglie che sembrano catene. ed è bello, però, pensare che siamo tutti una rete sola, un patchwork di uncinetti, catenelle, fili di perline e brillocchi, collane di peperoncini, nastri di raso, e tutto quello che c’è, che serve, che esiste a dispetto del Male.
aquatarkus, con gli occhi e i simboli è facile, quella pesca lì. Quanto al film, lo trovo bellissimo e anche un poco spaventoso (ma lo sai che ci lavorò anche Dalì, alle sequenze oniriche?). E poi, diciamolo, con la storia di Podcaine stiamo facendo scorpacciate di simboli… baci spaziali
arden, non ha importanza quali siano gli oggetti da cui si sprigionano i simboli. L’unica cosa certa è che non potremmo vivere, fuori dalla nostra rete di simboli.
palommè, eccerto che è così…
ciao diegodandrea: la superstizione è una grande forza, e i partenopei, che sono sensibili alle cose che non si vedono, lo sanno.
fuoridaidenti, tu si’ portato, per gli stravizi. forse per questo scrivi così bene (la virtù, notoriamente, non ha talento).
Herr Effe, non le dico i cuscinetti. Non le dico la bilancia. Non le dico i beveroni dietetici di realtà ai quali cerco di sottopormi. Ma niente, mi toccherà morire sovrappeso… (quanto ai pesci, come al solito i cristiani sono arrivati a tavola consata, e si sono presi pane, vino, pesci, ma mica erano loro, mica).
Certo che non potremmo vivere (o meglio vivere umanamente) senza simboli: il linguaggio è fatto di simboli – il pensiero lo è. Ecc.
Però gli occhi dei pesci e il resto dell’armamentario contro l’invidia e il malocchio e via dicendo ha per me un interesse antropologico senza alcun aspetto rassicurante.
Mi viene in mente il racconto che mi fece un pasticciere mentre sorseggiavo il caffè al banco. Ospite di un collega in Croazia (in anni recenti), si era visto mostrare un vasetto pieno lui credeva di caramelle, e invece erano occhi strappati ai “nemici” in tempo di guerra e conservati sotto spirito.
non ho dubbi. anche io trovo addirittura raccapriccianti oggetti che, per altri, sono solo rassicuranti. è che mi sembra irrilevante, quali siano.
e comunque, quel vaso d’occhi non era una protezione, era un piccolo, orribile trionfo. stava dall’altra parte, in pratica: dalla parte del Male.
Da “fotografo” , per me mangiare gli occhi di qualsiasi cosa o essere provvisto di vista (mi scusi il gioco di parole) è un atto sacrilego. E non lo vedrei come gesto beneaugurante o apotropaico.
Ma noi “guardoni” siamo strani, è noto.
La spasa in alcuni paesini qui è la tavola di legno su cui si prepara la pasta fatta in casa… tutto sommato anch’esso una specie di vassoio.
Saluti, mf*
Quella che hai appena scritto è una grande verità, quella degli occhi dalla parte del male dico. Quando il male viene combattuto con l’irrazionale spesso manifestazione di un altro male, non si vince mai, al massimo si pareggia.
Checché ne dica Conrad con la sua linea d’ombra.
Avevamo il sospetto che tu nutrissi la tua visionarietà cibandoti di occhi. E della tua simbolofagia sapevamo già, perversa maravigliosa Brioscina. Non solo ti pasci di simboli, tu, ma ti rotoli nei simboli, copuli coi simboli. Ogni rigo della tua prosa Sym-balla tanti di quei mondi da farci sentire sospesi su un abisso. Symballa: da syn-nballein + imballare + sballo).
Leggerti, infatti, è uno sballo, una pura esperienza psichedelica. Anche quando, semplicemente (per modo di dire), fai la cronista.
Cara, cara brioscina…
quiz: presepe o alberello?
Synballein: giusto, filologa?
Anche nel significato di patto, o di gesto che sancisce un legame. Quindi comunione…
Sono davvero impressionato da questa cosa. Mangiare gli occhi…
Ma lo fai davvero?
mi manca la tua voce calorosa, fragile, fatta di schegge colorate e rivoli luminosi che se li assaggi sono amari.
di la, nella stanza dove si parla tango.
è cosa molto araba, quella di mangiare gli occhi.
chi è stato nei paesi arabi come ospite lo sa bene (occhi di pecora, considerati leccornia da offriee per massimo segno di ospitalità).
ma anche nella tradizione gastronomica (!?) scozzese, nell’haggis, c’è l’occhio dello stesso animale.
comunque, brioche, io sto dalla tua parte: se cenassimo insieme, combattermmo per gli occhi del pesce 😉
MF, ma i fotografi mangiano gli sguardi altrui. Li succhiano via in quella dimensione senza tempo, piatta, schiacciata tra due dimensioni, tra il qui adesso e il mai più. Le fotografie sono sempre occhi mangiati. Per questo non si può smettere di guardarle, come si fa ogni volta che il tempo si manifesta, si fa cosa.
La “spasa” è una di quelle parole che ci si scambia, ai confini, come monete.
ahimé, aquatarkus, il Male è un invincibile. stavo pensando, adesso, per associazione trasversale, a quella parata di male che era “Gangs of New York”: lì qualcuno collezionava orecchie strappate agli avversari. Il mondo era uno spiazzo di neve pronto a tingersi di rosso. L’amore era solo un altro nome dell’inferno, come il paradiso. Checché ne dica Conrad.
Proteus, un sacco di gente mangia gli occhi. Mangiano pure i fegatini di pollo, il rognone e persino l’haggis, che ArimaneBis cita nel commento più giù (e che, per chi non lo sapesse, consiste in uno stomaco di pecora ripieno di un impasto di fegato, rognoni e cuore, più farina d’avena e spezie non meglio precisate). E non dimentichiamo chi mangia Burger King, sofficini, pop corn al cioccolato e Pringles di polistirolo aromatizzato alla paprika. E chi si mangia matrimoni decomposti, amicizie guaste, relazioni adulterate, fiducie scadute. I miei occhi di pesce non sono niente, in confronto…
E comunque sì, dico molte syn-balle, e syn-ballo pure il tango, quando posso.
Scherzi a parte, synballo è uno dei miei verbi preferiti: mettere assieme, comporre ciò che si vede con ciò che non si vede, non subito. Non si scrive per compiere questa alchimia alla rovescia?
(alberello, odio i presepi e poi noi siamo pagani. persino più dei cristiani di qui).
ArimaneBis, sarebbe una bella lotta ma finirebbe pari: occhio per occhio, simbolo per simbolo. Ma gli occhi sono un incipit o un explicit?
arcano, che piacere trovare il tuo sguardo, qui. sì, mi mancate.
ho bisogno di un abbraccio e verrò a prendermelo. grazie d’avermi ricordato che posso, che c’è.
Mi perdoni mangino…
io mangio con gli occhi. E comunque ho sempre visto mio padre fare l’oculofago ittico (ma anche con poveri agnellini!!!) e la cosa mi ha sempre fatto un certo… come dire, ribrezzo?
molto meglio le brioches, lo ammetta anche lei:)
La cosa non mi scandalizza, brioscina. Mi affascina, m’impressiona. Cioè mi s’imprime nell’immaginazione, come tutto ciò che scrivi. Mangiare gli occhi è una magarìa, tu sei una magàra.
Qui cominci con degli elenchi, come spesso fai: “La carestia, la siccità, il malumore dei castagni, il veleno dei vicini… “. E poi ancora: “Il fulmine, la grandine, la peste dei maiali. La malasorte, dio, la politica. L’amore, certe volte”. Sembra quasi di vedere le streghe del Macbeth, che buttano nel calderone zampe di ranocchi, pelo di pipistrello, una lingua di cane, una scaglia di dragone, occhi di ramarro… Sì, sei una magàra. Non per niente questa pagina è nera come la notte.
“se il tuo occhio ti serve da scandalo, strappalo; e’ meglio per te entrare con un occhio solo nel regno di dio… ” ecc. non so se è luca o matteo o giovanni o tutti e 4 i vangeli syn-optici. forse non c’entra, ma leggendo la parola scandalo mi veniva in mente questo. Procedo per associazioni, come mi sembra che fai anche tu, peraltro scrivendo delle cose molto belle e poetiche.
Mia madre è siciliana e fa la cassata a forma di occhio, con la glassa bianca e un candito nero al centro. Poi ce l’uovo all’occhio di bue, e chi ne ha più ne frigga.
Guido N.
sei siciliana siciliana?
dici bene: alla pari.
due occhi: uno guarda all’inizio, uno alla fine.
o almeno dovrebbero.
(e infatti al ciclope finì piuttosto male: non vedeva la fine).
Questa volta leggo su segnalazione telefonica: curriti curriti, manginbrioches cucina il suo piatto natalizio a base di pesce!
Ma quante storie per degli innocenti occhietti di pesce. Io non mi scandalizzo, non m’impressiono e anzi sono molto incuriosita. Com’è l’occhio di pesce? E’ più buono lesso? Fritto? Ha una punta di amaro? Un che di speziato?
Io del pesce mangio le lische, quelle tenere tenere, masticandole ben bene. Anche le pinne e la coda sono una squisitezza se ben abbrustolite, croccanti e friabili. Per non parlare dei fegatelli di merluzzo fritti, della pelle di sogliola e delle uova di salmone. Quando vado in Sicilia mi faccio gran scorpacciate di sarde alla brace e mangio tutto, occhi testa e lische. Gli occhi da soli devo dire che non li ho mai assaggiati, ma rimedierò quanto prima. A natale mi farò una frittata di occhi di pesce fresco e uova, uova all’ occhio di bue con contorno di occhi di triglia, olè! Saranno anche belli da vedere, perciò prima li fotografo e poi li mangio.
Se non s’è capito, sono magara anch’io, ma più in cucina che con le parole. Magara e immagata dalle ricette della Premiata Pasticceria La Brioscia. Tra magare…..
Sempre bello leggerti.Un abbraccio e tanghi auguri!
E si compie il miracolo. Perché i miracoli,
attratti dalla terra, serbano gli indirizzi,
anelando talmente a svolgere la prescritta funzione
da giungere a destinazione perfino nel deserto… (J. Brodskij)
bisousdaugurimadeinfranca !
Oh, devo aver paura di lasciare un commento con tutto ‘sto mangiar d’occhi…
E’ proprio così: la cosa più apotropaica del mondo è l’amore con le sue reti incantate.
Mi associo agli auguri di Franca, aspettando di leggerti ancora…
iao Brio!
Tanti auguri e… cchiù sciampi pi’ tutti!
Auguri di Buon Natale a tutti
La Natività secondo Giotto
Buon Natale, Anna:-))
Cosa mangi a Natale?
Auguri, occhi belli.
G
tanti auguri, carissima Anna
Auguri, per domani, per ogni giorno.
felices fiestas brioches, cara
Sono passata a lasciarti un po’ di auguri… 🙂 e a leggere le tue belle storie,
Ale
spero che hai trascorso un Buon Natale, ti auguro di trascorrere meglio tutto il resto.
Spero di poterti rivedere e …riconoscerti, magari nella mia bottega a Sbarre, dove c’è stato un Natale ricco di simboli come Maddalena, quella del passaggio a livello della via marina e di don Micu u piulu che gli offriva l’arancia peccaminosa.
Altri e altri ancora ne sono nati dopo quel 25 luglio del 2005 e ti apettano per riconoscerti.
Auguri da Nicola, Cecia la tropijana, Barsanufio e tanti altri
sarà che apotropaico à la mia password per tutto, sarà che maria antonietta e le sue brioches stavan nell’ultimo libro letto con gusto.. ma qualcosa mi spinge qua e non è mai per caso.
dd.
Mi sento stranamente a caccia di forbici. Voglio recidere, staccare, costruire…E non perché abbia qualcosa da recriminare, nè alcunchè da piangere o da rimpiangere (giovinezza a parte). E’ solo perché i simboli del passato pesano, ti invischiano, non ti lasciano andare. E la strada davanti è poca, non posso avere intralci, voglio la strada libera. Soprattutto dai ricordi. Il via dunque ad un arredamento anonimo del cuore, anonimo non arido,che lasci spazio a nuovi sguardi e porte aperte. Vorrei riuscirci, ma i ricordi e i simboli sono come tiranti che ti lasciano allontanare per un attimo e poi ti richiamano indietro precipitosamente. E devi pure stare attenta a non battere la testa. Auguri, Anna, buon anno nuovo. Il vecchio ormai è alle spalle insieme agli altri.Un anbbraccio.Anna.
Era un po’ che cercavo d’aprire questo blog che rimaneva sempre buio. Poi si è aperto come un cuore che non ha paura di dire perchè sta male e come un sorriso di chi ha imparato a domare i ricordi perchè non facciano male. Complimenti mi è piaciuto molto.
auguri sms-mediati ricevuti. ricambio da qui (il cellulare cadde e si spense, il semplice messaggio spirò, il numero si cancellò, la precedente archiviazione del numero si era dispersa insieme al cellulare archiviante cadendo dalla tasca dei jeans mentre in motocicletta percorrevo un alberato viale cittadino). Insomma auguri , colorati e profumati ,a. 🙂