Si guardavano, le due fanciulle.
Convinte d’essere simili, ma diverse. C’era un’intenzione differente, nel fondo nero degli occhi, e anche nella superficie nera di quella profondità.
L’una assorbiva, tratteneva, cingeva – con arte d’amante o di musa, non so – l’altra sporgeva, s’affacciava, riempiva. Una usciva appena dall’ombra, l’altra respirava certi cieli incontenibili, fitti fitti di nuvole, stagioni, temporali. Una era tutta dentro, l’altra prepotentemente fuori.
Anche i colori le dividevano, almeno quanto le univano la posa delle mani, l’oro sciolto nelle vesti, i nodi che trattenevano le trine del corpetto. Una era di raso, nube e acqua: rifletteva la luce almeno quanto l’altra l’assorbiva, nella profondità smisurata dei capelli, degli occhi, della fossa nelle labbra – dove si dice che fosse precipitato un famoso pittore.
Una respirava venti salati, gli stessi che le gonfiavano il velo; l’altra scivolava nel vicolo, diretta all’alcova nascosta, rarefatta dalle candele e dal segreto.
Una portava una collana e una spilla con un pendente: “margarita”, la chiave d’un nome chiuso nell’ostrica, elaborato lungamente, eppure esposto, come il dolore quando si fa perla.
L’altra portava solo l’ala del collo e della spalla, un’impercettibile malizia sulla guancia, una collana invisibile di secoli, come fossero perle.
Nessuno sa cosa si dicessero.
La Velata di Raffaello e la Velata rifatta da Guttuso. Partecipo così, con questo dialogo impossibile e necessario alla “Settimana artistica”, gioco-verità lanciato da pensierointero, e seguito, per questo giro e finora, da serafico (che ha scelto Raffaello), nefeli , Biz , alphaville (bellissimo saggio in forma di post) e la mia carissima BibliotecadeBabel .
Raffaello è quello della Scuola di Atene (quei gesti che riassumono la conoscenza, nell’architettura della mente che li circonda, ragione e bellezza in asse e a perpendicolo), delle Madonne, cristiane e no, euritmiche, dalla luce simmetrica e armoniosa, come nei cieli superiori. Ma c’è un Raffaello ripreso e disciolto nella luce, messo in bagno di colore saturo, esposto alle correnti, salato e condito.
Guttuso rifaceva i Grandi, per capirli, linea per linea, sillaba per sillaba li ripronunciava. I Grandi, mi viene da pensare, sono alfabeti.
Ecco, il solito sfoggio di saccenza rococò.
l’immagine del dolore che si fa perla..é l’altra opera d’arte di questo ‘trittico’..
Ecco, il solito sfoggio di saccenza rococò.
p.s.) Avevo già lasciato il messaggio, ma poi è scomparso.
Ora è riapparso l’originale.
rococò sarà Lei, shemale. qui siamo barocchi, o scaramazzi (anche un po’ trispiti, invero).
sai, brezzamarina, m’ha sempre colpita questa cosa, della nevrosi dell’ostrica, della sua difesa che diventa perla.
Non so perchè, ma più che alfabeti mi san di breviari.
provo una grande ammirazione per Guttuso ed ora provo una grande ammirazione per te che hai ricordato la rilettura che lui fece del dipinto di Raffaello. Vederle vicine, simili eppure così diverse, è estremamente suggestivo, così come sono suggestive le tue parole: si guardavano le due fanciulle…
é da i grandi che si deve imparare.
un caro saluto
fabio
che bel gioco di specchi
che sublime tradimento
(anche se preferisco Bacon che rifà Tziano
o Picasso che reinventa Velázquez
con pari sprezzatura,
o Virgilio che prova a sillabare Omero con metro latino,
tutti traduttori traditori
che qualche volta tradendo amano di più)
mah, secondo me è un brutto Guttuso, perdonatemi,
ma ha fatto molto di meglio,
Guttuso ha dipinto, lavorato troppo
e distrutto poco
a volte si smarriva,
come tanti
MarioB
Il confronto che fai , Anna, è molto penetrante.
Concorderei con MarioB sul fatto che non è un bel Guttuso, se non fosse che, messo accanto all’originale, stimola l’osservazione, suggestiona e (non piccolo merito) consente qui a te di osservare ciò che ci hai fatto osservare.
Arden ha centrato il punto: qui non si celebra questo o quello, piuttosto si sfregano legnetti e pietruzze, cercando qualche scintilla. Ho visto La Velata di Guttuso alcuni mesi fa, e m’aveva colpito la sua luminosa presenza, così dissimile dall’originale di Raffaello. In effetti era uno studio, uno dei tantissimo di Guttuso che – e qui ha ragione Mario – non buttava via nulla, ma non per vanagloria e convinzione, semmai, mi sembra, per andare avanti, altrove, e non guardarsi indietro nemmeno. tanto, si continua a fare e rifare lo stesso lavoro, a far combattere la stessa speranza contro la speranza. Ricordo, di quella bella mostra romana, anche quest’altro confronto, tra Danae e Danae:
Arden ha centrato il punto: qui non si celebra questo o quello, piuttosto si sfregano legnetti e pietruzze, cercando qualche scintilla. Ho visto La Velata di Guttuso alcuni mesi fa, e m’aveva colpito la sua luminosa presenza, così dissimile dall’originale di Raffaello. In effetti era uno studio, uno dei tantissimo di Guttuso che – e qui ha ragione Mario – non buttava via nulla, ma non per vanagloria e convinzione, semmai, mi sembra, per andare avanti, altrove, e non guardarsi indietro nemmeno. tanto, si continua a fare e rifare lo stesso lavoro, a far combattere la stessa speranza contro la speranza. Ricordo, di quella bella mostra romana, anche quest’altro confronto, tra Danae e Danae:
Arden ha centrato il punto: qui non si celebra questo o quello, piuttosto si sfregano legnetti e pietruzze, cercando qualche scintilla. Ho visto La Velata di Guttuso alcuni mesi fa, e m’aveva colpito la sua luminosa presenza, così dissimile dall’originale di Raffaello. In effetti era uno studio, uno dei tantissimo di Guttuso che – e qui ha ragione Mario – non buttava via nulla, ma non per vanagloria e convinzione, semmai, mi sembra, per andare avanti, altrove, e non guardarsi indietro nemmeno. tanto, si continua a fare e rifare lo stesso lavoro, a far combattere la stessa speranza contro la speranza. Ricordo, di quella bella mostra romana, anche quest’altro confronto, tra Danae e Danae:
Confronto interessante…il bianco e il nero, la luminosità e l’ombra.L’opera di Guttuso in realtà mi sembra molto differente, perdendo (non in senso negativo) quasi tutto dell’altro quadro: lo sguardo,le labbra, il collo, (ovviamente) lo sfondo, i colori…La differenza che emerge tuttavia non è limitata solo ai particolari ma colpisce tutto il dipinto:è come se Guttuso modificando, a volte quasi impercettibilmente,dei particolari abbia voluto modificare l’intera immagine.
Pensierointero
c’è questo andrè derain, quest’omone massiccio ritratto da balthus, con un che di diabolico nello sguardo a feritoia, con una sua incontestabile severità. quest’armadio d’uomo che per farlo stare tutto in un quadro bisognava mettercelo poco alla volta, accatastarcelo lentamente allineandolo in un insieme di rette parallele che si fingono righine di vestaglia. così aveva fatto balthus con quei suoi pennellini stecchetti, con le spatoline e le mani, con le sue antiche misture di calce e uova, con la pazienza infinita dei giapponesi che si fanno ciotolina nel contemplare la ciotolina. così alla fine ce l’aveva ritratto tutto, il pittore, e quasi gli avanzava pure spazio per una modellina seduta in angolo. e quella mattina derain s’era svegliato strano, s’era alzato con una sensazione addosso d’incorporeo. s’era infilato quella stessa vestaglia del ritratto per tenersi tutto insieme e continuava a controllarsi con la mano, a cercarsi il torace e la pancia senza tuttavia trovarsele tutte esattamente al loro posto, mentre ciabattava fin nello studio, dove già l’aspettava sulla seggiola la biondina modella mezzo svestita e mezzo indolente. e adesso è lì che si è bloccato, quel diavolaccio di un derain, nel mezzo dello studio, alla vista di uno specchio che gli restituisce quel po’ di corpo, di quella figura che non si trovava addosso prima. solo che lo specchio gliela rende in corpo di santo, di quel san Nicola di Tolentino di quel Piero della Francesca con cui Balthus dialogava dalle tele e ci scambiava l’anima delle figure. quel santo pacioso e saldo e severo di una severità pacata e diversa, che la sua – la sua di derain – al confronto gli inchioda i piedi sul pavimento. lo blocca di quel bloccarsi di colpo di fronte a un se stesso altro nello specchio, mentre lo sguardo che rimbalza dal santo è tanto fulgido e tondo e irradiato di quel minuscolo sole alle spalle, quanto secco e tagliente e sbigottito quello del pittore che pur ci si ritrova, compenetrato, immobile in tutto tranne che nella mano sul petto che, in ultima istanza, si cerca la pelle sotto la stoffa con la punta dell’anulare.
Ti dico una cosa, ma te la dico piano piano, all’orecchio, e neppure in presenza del mio avvocato, ché tanto qui sono all’ombra della Libreria delle Necessità e al massimo le eresie finiscono nei suoi gorghi, ben protette… Mi piace pensare che Margherita abbia di velato solo gli occhi, di sorpresa e di necessaria virtù. Che in fretta e furia per improvviso accidente abbia dovuto velare qualcosa poco in ombra e sia stata “maldestra”. Io la vedo ancora lì, bella e impudica, a velare quel poco che di risplendente sopravanzava persino la perla gocciolante dall’acconciatura, e subito dopo cascarle addosso un’onda e il riflusso della seta marezzata, modellata lì su due piedi, intorno al suo corpo, senza neppure la fatica di dover scostare le mani per ri-velare. Ha gli occhi velati, Margherita, e la smorfia del sorriso impudico pare attenuata; lo sguardo si abbassa appena e improvvisamente ricorda: che gocciola ancora la perla occhieggiando dal velo, che un lino candido non basta a velare il dolore.
Ti dico una cosa, ma te la dico piano piano, all’orecchio, e neppure in presenza del mio avvocato, ché tanto qui sono all’ombra della Libreria delle Necessità e al massimo le eresie finiscono nei suoi gorghi, ben protette… Mi piace pensare che Margherita abbia di velato solo gli occhi, di sorpresa e di necessaria virtù. Che in fretta e furia per improvviso accidente abbia dovuto velare qualcosa poco in ombra e sia stata “maldestra”. Io la vedo ancora lì, bella e impudica, a velare quel poco che di risplendente sopravanzava persino la perla gocciolante dall’acconciatura, e subito dopo cascarle addosso un’onda e il riflusso della seta marezzata, modellata lì su due piedi, intorno al suo corpo, senza neppure la fatica di dover scostare le mani per ri-velare. Ha gli occhi velati, Margherita, e la smorfia del sorriso impudico pare attenuata; lo sguardo si abbassa appena e improvvisamente ricorda: che gocciola ancora la perla occhieggiando dal velo, che un lino candido non basta a velare il dolore.
Ti dico una cosa, ma te la dico piano piano, all’orecchio, e neppure in presenza del mio avvocato, ché tanto qui sono all’ombra della Libreria delle Necessità e al massimo le eresie finiscono nei suoi gorghi, ben protette… Mi piace pensare che Margherita abbia di velato solo gli occhi, di sorpresa e di necessaria virtù. Che in fretta e furia per improvviso accidente abbia dovuto velare qualcosa poco in ombra e sia stata “maldestra”. Io la vedo ancora lì, bella e impudica, a velare quel poco che di risplendente sopravanzava persino la perla gocciolante dall’acconciatura, e subito dopo cascarle addosso un’onda e il riflusso della seta marezzata, modellata lì su due piedi, intorno al suo corpo, senza neppure la fatica di dover scostare le mani per ri-velare. Ha gli occhi velati, Margherita, e la smorfia del sorriso impudico pare attenuata; lo sguardo si abbassa appena e improvvisamente ricorda: che gocciola ancora la perla occhieggiando dal velo, che un lino candido non basta a velare il dolore.
Io amo più Derain di Balths che mi è sempre andato un po’ per traverso con quel suo morbino un po’intellettuale un po’ anticheggiante che non sai dove piazzarlo ed alla fine mi sdozza però.
Io non posso sopportare Derain ritratto così, io fossi stato Derain il quadro glie lo tiravo in testa, ci ha fatto pure l’occhio cisposetto, ottuso e umido se non tumido.
Bleah.
MarioB.
Una scrittice vulcanica che ti porta,a passo svelto tra liberie magiche in vicoli nascosti e ti fa scoprire la tenue differenza tra “il bello e il necessario..filosofico” e poi,ancora ti trascina tra due quadri che non si riconoscono eppure un elemento li accomuna,e fai fatica a dirlo,ma non è quello il punto..INCANTATRICE…
Strada facendo ho perso due r.:scrittrice
e librerie..sarà grave?Le perderò per sempre,come il mio gatto,le fusa?
Se fosse musica sarebbe un arrangiamento brillante e in una chiave maggiore di qualcosa di scuro e minore. Dalla drammaticità di un apiega all’affermazione estroversa. L’arte è la buona menzogna sempre. Zac
ragazzi, che bei commenti… (certe volte una fa un post solo per avere commenti così)…
residuodimmagine, il dialogo di Derain, affastellato con perfidia da quel soave vizioso di Balthus, con l’alterego San Nicola è magnifico (e peraltro qui si adombra uno dei poteri della pittura e dell’arte: scambiare i corpi e/o le anime). per dire, se ne racconti altri, di scambi, io sono qui che aspetto…
BibliotecadeBabel, anche questo è un dialogo, di Margherita con se stessa (e tu l’hai resa mezza e mezza), colei che vela e che svela, nel suo fare trattenuto, nella sua impenetrabilità di perla, nella sua malizia ben celata, come un segreto, come il volto del bel pittore che lei andava ritraendo in se stessa.
Marius, a volte forse si dipinge per cattiveria, e ho sempre pensato che Balthus fosse sottile e crudele. Forse gli davano noia i Derain che brillavano nel buio:
IdaKrot, le r ricrescono, in genere. Però per le fusa mi sa che è un guaio. Prova a leggere al tuo gatto l’Ode al gatto di Neruda. A volte funziona (qui funziona pure con la tartaruga).
Zac questa cosa del maggiore e minore mi piace molto. Le due velate hanno una chiave diversa (e qui suppongo c’entrino numeri e bellezza, come nella musica, appunto).
ma io non ho occhi, davvero, non ho memoria visiva, sul serio, per me tutto passa tramite il segno, gli alfabeti.
E “alfabeto” per me ha sempre significato “il mondo intero” (alfa e omega sarebbe più giusto, ma c’intendiano)
Come dire che, in un fenomeno del genio, in un talento, c’è tutto il mondo.
Alfabeto è il mondo, e il mondo è alfabeto.
ecco, sarò monomaniaco, a ma me viene in mente bacon che rifà velazquez. ecco.
d.
brì, non mancherò. mario anche a me piace molto derain, ho sempre pensato che fosse uno tra i pittori più piacevoli dell’otto-novecento (piacevole in senso buono, eh, mica lezioso o che so io), per quel suo senso felicissimo del colore che si portava dietro in tutte le sue svolte. balthus invece lo amava più come amico che come artista, che in pittura non riusciva a stargli dietro, sempre per via di quelle sue svolte camaleontiche, balthus che invece viveva in quella sua bolla temporale sospesa tra il medioevo e il novecento. probabilmente è per questo che lo ha catafratto in quell’imponente vestaglia da cui sfuggono solo le dita, forse per tenerselo fermo, quell’omone grande e grosso, come in un abbraccio, perchè sappiamo che balthus era solito abbracciare i suoi cari ed erano abbracci – questo lo sospettiamo soltanto – sempre un po’ perversi, un po’ stravaganti.
Numeri e bellezza possono essere codici del sentimento a sapersi abbandonare. Roba calda e non fredda come si giudica di fretta. 🙂 Zac
hai ragione…i grandi sono alfabeti, assoluti aggiungerei, ciao
ma la cosa più bella è quel qui non si celebra questo o quello, piuttosto si sfregano legnetti e pietruzze, cercando qualche scintilla di cui al commento #11. Ma io mi domando: a te non capita mai di non saper come dire una cosa?
Balthus era un principe Balthasar Klossowski,
poi non posso scrivere più che s’sto cazzo di notebook di emerg. si stacca ogni minuti 3
MarioB.
alla prossima,
Invece io a Guttuso gli strinsi la mano e ci aveva delle mani bellissime e pure lui era bello assai, e gli diedi un suo manifesto da firmare per autografo e lui diceva: dammi un oggetto…dammi un oggetto..dammi un oggetto!
( io imbarrazzato mi dicevo ma chissà che diavolo di oggetto vuole ‘sto Guttuso )
Fatto sta che poi urla: dammi un oggetto scrivente, noooo…!!!
Io mezzo morto di timidezza cacciai fuori la matita mia e lui firmò!
Ossignùr!!!
Mariob.
e’ sempre lei. e quello sguardo.
e’ sempre lei. e quello sguardo.
e’ sempre lei. e quello sguardo.
kresh, a mangino di sicuro mai. ma anche a te capita poce volte. se non vi amassi vi odierei
Herr Effe, gli alfabeti ci sono sempre, ancorché invisibili (alfabeti della notte?…). Siamo animali semantici, qualunque segno scegliamo, anche il non-segno.
demetrio, solo a te poteva venire in mente Bacon, quello straziaimmagini (che già Velasquez, di suo…). C’è qualcosa di dilaniante nella tua immaginazione, sempre.
residuodimmagine, bello questo rapporto tra uno che svolta – e di suo è una montagna d’uomo, colore e vestaglia – e uno che si sospende altrove – per giunta segaligno e uncinato, scavato fin nel teschio. Bella questa pittura in luogo degli abbracci, in luogo dei discorsi sugli altri. Forse ogni rappresentazione sta in luogo di un discorso, è la prosecuzione di un discorso con altri mezzi.
Zac, sempre saputo: è roba incandescente, i numeri, e beffarda. Si nasconde dietro ogni finta di caos.
palommé, abbiamo da leggere ovunque, in effetti. baci
kresh, per contare i miei silenzi non basterebbero i numeri, altroché. E poi mi capita di non sapere, di non potere, di non volere dire una cosa. E poi mi capita, anche, di dire un sacco di cose che non volevo, non sapevo, nemmeno potevo. Non sono le peggiori. Dio salvi il preterintenzionale.
Marius, Guttuso era un uomo fascinosissimo persino da vecchio, con quelle borse sotto gli occhi e l’incarnato da antico fumatore. E poi, dipingeva da bello (c’è chi scrive da bello, chi suona da bello, anche).
all, lui dipingeva lei ogni volta che poteva, e anche quando non poteva… e lei è sempre svelatissima, anche quando si vela.
porti, questa è la più bella dichiarazione d’amore che mi abbiano mai fatto.
Hai un dono: quello di rendere la parola ambiziosa. La parola che getta il cuore oltre l’ostacolo; e dopotutto anche quando lo fa, raramente, molto raramente, si vedono perline di sudore che increspano la pagina. Per il resto, per quanto la brevità d’un post non lo consenta, potevi espandere ancor di più senza peccare di ridondanza.
Davide.
troverò un modo, prima o poi, per sfuggire ai tuoi occhietti furbi, Mangino… prima o poi lo troverò e finalmente riuscirò a nascondermi. cià
Oh, Davide, lo so. Le parole le amo gradasse, rodomonti e sacripanti, non posso farci niente. Le parole quiete m’inquietano.
palommé, tu non vuoi affatto nasconderti. sei sempre tutta intera e visibile dentro tutto.
gradasse e smargiasse, tracontati tra cotanti commenti, le parole.
Ma che vento sarà, quello salato che gonfia i veli, e quali vele, e quali viaggi.
A me Guttuso, a pelle, è sempre risultato antipaticissimo.E se il dire ‘a pelle’ vi par scorretto, tra tanta sapienza artistica, beh, secondo me vi sbagliate, ecco.
assolutamente no. la pelle è il nostro miglior critico artistico (e lo stomaco quello letterario).
Guttuso fumava le Turmac bianche superfilter e io che credevo che fumasse le Alfa perché era del CC del PCI,
io che mi credevo,
allora,
io ci avevo i pregiudizi
Mario
Mario, noi ci abbiamo i pregiudizi ancora, per fortuna.
Non mi meraviglia che Guttuso avesse una tal voglia di rileggere e studiare Guttuso da arrivare a rifarlo, cioé a riscriverlo. E’ quel tanto di decostruttivo che ogni opera d’ arte si porta dietro rispetto a ciò che lo ha preceduto. D’ altronde Michelangelo di pietà ne ha fatte quattro i barocchi lavoravano su repertori, e Monet, con la scusa dell’istante luminoso ha riarchitettato la sua cattedrale più e più volte ( e ha pure riletto sé stesso già che c’era). In fondo la prima cosa che mi ha fatto venire in mente quello studio di Guttuso era il Pierre Menard di Borges, studioso immaginario tanto innamorato di Cervantes dal volerlo rifare sillaba per sillaba
recondita armonia
ehm… preciso che l’idea l’ha lanciata pensierointero.
A te darei la palma del piu’ creativo finora nell’aver affrontato la Settimana artistica. Fine e interessante il commento e l’accostamento fatti. I tuoi commentatori sono anche di prim’ordine (un blogger si vede anche dai suoi commentatori) Complimenti.
grazie per questo bel commento sui commentatori… suppongo tu sia serafico, e mi scuso per il fraintendimento: mi rifarò alla prossima.
invece l’anonimo del #39 dev’essere alphaville (o almeno spero): quel modo di sapere le cose, dentro gli strati, mi sembra il suo.
Eva Carriego, sono d’accordo: l’armonia è nascosta e indiscutibile.
Beh, si, il 39, ero io
Comunque l’accostamento a Guttuso mi ha molto colpito, è di grande perspicacia
la parola perspicacia m’è sempre piaciuta. se la pronunci tu, di più.
Bello. Tutto molto bello.
grazie ethos. i post sono solo inneschi: sono i commenti a fare tutto.