Mica siamo di presepe, noi. No, no, piuttosto d’altarino. Altarini complicati, di terracotta, merletto e cera vergine. Fotografie di morti e di vivi, amuleti, forcelle d’ossa di pollo, spine del roseto di Santa Rita, code di lucertola, medaglie miracolose. Madonne di Lourdes celesti d’acqua benedetta, calciatori famosi e ritagli di giornale. Poi lumini, fiori finti, immagini di Gesù che cambiano colore secondo il tempo (“mamma, oggi Gesù è blu, prenditi l’ombrello”), la spilla del partito comunista di nonno Stefano, la tazzina arrivata dall’America, un chiodo della prigione, o della Croce di Nostro Signore, e il sale benedetto.
Questi, almeno, duravano tutto l’anno. Mica come il presepe.
Con l’eccezione, si capisce, di zio Lillo, il ferroviere, che passava l’estate e l’autunno a progettare il suo presepe meccanico, pieno di scambi, traversine e passaggi obbligati, perché in realtà lui voleva una stazione, una provincia, una regione tutte sue, dove fare il capostazione con la paletta di dio. Allora pensava cascate, impedimenti, tronchi tagliati. Vitelli sui binari, neve fresca a livello del mare, incidenti spettacolari. In un angolo, certo, c’era la capanna o la grotta della natività, e la sacra famiglia un poco disturbata da tutto quel rumore di treni, e quel parlare d’incidenti. Arrivavano pastori girati dall’altra parte, che guardavano il deragliamento delle tredici e cinquanta, e chiacchieravano fitto e quasi non ci badavano, a Maria col mantello pietoso e allargato, a Giuseppe col bastone e alla mangiatoia di trucioli – che poi restava vuota fino a mezzanotte di Natale, quando, puntuale, arrivava l’espresso della notte e portava il bambinello.
Zio Lillo, in testa il beretto rosso (che mica era suo, era del Cavaliere buonanima, ché lui non aveva mai superato il concorso, e ne aveva rosicchiate, di matite, davanti al foglio posato sul banco, tormentandosi per ricordare il volume della sfera e l’armistizio di Salasco e soprattutto suo padre, nonno Ciccio, impiegato di gruppo c dell’acquedotto comunale, che l’aveva voluto ferroviere, quel figlio, ed era morto convinto che sarebbe diventato capostazione, capocompartimento, direttore generale, ministro dei Trasporti o vicerè), zio Lillo allora fischiava con tutta la sua forza nel fischietto luccicante, e Natale cominciava con un fischio di stazione e rimpianto che tracciava una scia nell’aria, così netta e metallica che sembrava davvero una stella cometa.
questo perché non ho voglia di fare presepi, ma altarini sì, con un paio di morti e vivi e acquerelli e talismani (e anche alcuni libri, e forse uno o due post, una boccetta di profumo, un gioiello senza valore, una tessera scaduta e una moneta fuori corso), per guardarmi le spalle, non si sa mai. da piccola avevo paura che la cometa mi cadesse addosso, mi centrasse come una freccia di ghiaccio e argento intergalattica e spietata. ora che ci penso, ho ancora quella paura.
ognuno ha il suo personale presepe… per questo anch’io non ho mai fatto un presepe generico… il mio personale presepe lo porto attaccato alle orecchie come un orecchino pendente… rumoreggia ogni qualvolta io mi muovo e come tu ben sai io mi muovo spesso… ciao Mangino… mi sono accorta che rispondi solo sul tuo blog… che tu stia diventando una monade?? No, non preoccuparti non è una brutta parola, è bello leggerti dappertutto, ciao
Niente paura, brioche, per quella cometa.
Non ti cascherà addosso, nè ti centrerà con la sua freccia di ghiaccio e di argento.
E già successo, infatti.
Non vedi come scintilla col suo pulviscolo dorato nelle febbrili maglie della tua scrittura?
Mò invento na retìna acchiapacomete, così ti proteggo,
ti corro intornointondo con ‘sta retina,
e vedrai,
che comete ne piglio
e te le dono, belle e domate,
che occhieggiano lì dentro,
Mariuscometarius
ok, ce li fai vedere?
ovvero: scopri gli altarini, dài! 😉
(qua è tutto un andirivieni di statuine, capirai…)
sarebbe da salirci su quel treno
davanti a quello scambio
senza quell’incidente
con quel cappello in testa
prima o dopo quel fischio
che faceva Lillo
che in fondo al cuore
era ancora quel bambino
oddio, monade non me lo aveva mai detto nessuno, palommè. ora ci ripenso, così vedo. (comunque non ho dubbi: tu il presepe fischiante ce lo hai appresso, è chiaro).
shemale, ecco cos’era quella trafittura tra le costole. Ma non mi fa molto male: solo quando rido.
Mariuscometarius,
acchiappacomete sopraffino
le rincorreva per il cielo
e le metteva nel retino
ma quelle dispettose
si scioglievano copiose
in sospiri e lacrimone
tutte al gusto di limone.
(è scientificamente provato che le comete sono ghiaccioli al limone, qualcuno alla menta, ma pochi).
pbeneforti, belle statuine, almeno…
pispa, quel treno è ancora lì, e pure Lillo col berretto e il fischietto, e tutta quell’infanzia.
“…e fece Sé terrestre, nel Presepe…”
che poi è sempre così, che nel presebbio i pastori sono volubili, si distraggono, vuoi per i treni che deargliano, vuoi per le cascate con l’acqua che scorre overamente, à la cupiello. son capaci di schiodare i sugheri e sollevare la stagnola dai fiumiciattoli, i pastori, per vedere se c’è l’enteroclisma da dietro.
Lo zio che faceva del presepe una linea ferroviaria che era un ortus conclusus mi ricorda un bambino che ricreava il mondo in una scatola di scarpe che popolava di coccinelle.
Il presepe, invece, non gli piaceva neanche allora, e nemmeno il Natale.
ecco,
uno si fa pure un paesino in un guscio di noce
ed un vascello con un fuscello
M
La (ri)creazione
ma mi ricordo che passando
mi ricordo che passando in quelle terre
d’improvviso e proprio a mezzanotte
era il fischio, un suono lontano sibilato soffiato zufolato
che per un attimo sospendeva il mondo.
Si fermava l’arco di cometa, arrestava la salamandra il passo, le foglie d’erba smettevano il crescere eterno.
Era quel fiscio, che noi pensammo di lontani dei.
E invece era zio Calogero Lillo col berretto rosso, e una paletta.
Cadeva allora la cometa, fuggiva la salamandra, e le foglie d’erba tessevano un millimetro di aggiunta perfezione, e tutto iniziava una volta ancora
Se, Giocatore, se…
residuodimmagine, il mio pastore preferito è ‘u maravigghiatu da’ rutta, che fa quella faccia, di solito, dopo aver visto cosa c’è sotto la stagnola…
aitan, quel bambino non l’ha persa, quella voglia di fare mondi. ne sono certa.
Marius, e un castello in un cestello, e un veliero nella bottiglia, o meglio nella damigiana, che siamo in tanti a tavola.
Herr, zio Lillo non sapeva, capostazione mancato com’era, ch’era proprio lui il prescelto, e lo scambio celeste poteva continuare a funzionare, e la Terra a correre come una locomotiva di notte, nera nera e dritta, nello spazio fondo fondo, chissaddove.
a me il presepe è sempre piaciuto.
lo costruivo assieme a mio padre con la grotta di sughero e l’acqua vera che tornava su e faceva girare il mulino e il muschio che cercavamo nel bosco e staccavamo piano in larghe strisce verdi e le statuine. Ancora oggi, me lo costruisco da me il presepe, non bello come quello, ma per ricordo, di mio padre, forse.
ciao mb 🙂
Le stelle comete
Le stelle come te
a me la stella cometa è caduta addosso lo scorso anno. a parte il buco in mezzo agli occhi, tutto ok.
Sì, al mondo ci piace o’ presepio. Ma dipende come lo si interpreta. A me fa quasi paura ed impressione. Sarà che le nostre statuine sono veramente terrificanti.
Se sapessi il perché
tu non parli con me…
beh. ti lascio un saluto. senza paletta e fischietto. sempre affascinato, comunque, da queste tue memorabilia. zio Lillo. forte. forte davvero.
mi sembra eccessivo, assentarsi già da ora per preparare il pranzo di natale
mangino, io il presepe lo usavo come teatrino. avevo creato una tresca fra la pescivendola e il fornaio..
baci a te.
m.
Ho avuto tante incertezze anch’io, poi alla fine ho ceduto. Presepe, piccolo, ma c’è, accanto all’albero, per la piccola Lulù, alla sua seconda presenza natalizia.Niente altarini però, banditi tutti i ricordi (si fa per dire, nella mia lotta con loro soccombo sempre)e niente passato. Guardo al futuro negli occhi lucenti di questa piccola ed evito di chiedermi anche che futuro sarà. Mi godo questo scampolo di presente piuttosto malconcio, consapevole che i domani bisogna aspettarli, ma non aspettarseli. Auguri, Brioche, e perdona la malinconia. Dopotutto è “aria di Natale”.
Noi siamo di presepe. Senza alcun dubbio. Ho ancora (ed è uno di quegli switch proustiani più efficaci) l’odore della muffa dello scantinato di casa in cui il plastico gigantesco del presepe di famiglia sonnecchiava 11 mesi l’anno. Il rimanente tempo lo passava, bell’e resuscitato, a fare da deriva natalizia controtendente. Fu difatti lo scenario di guerra prediletto ove si consumarono carneficine cruentissime di giubbe blu, indiani, cow-boy nonché bruciarono stukas e velivoli vari in picchiata beccati al volo dalla contraerea. Gli altarini, d’altro canto, locupletavano nella casa della nonna. Io per lo più rammento certe Madonne Addolorate eptotrafitte da spadini d’argento che biancheggiavano le orbite imploranti inquietandoci al di là della ialinità delle campane a protezione.
Scommetto che zio Lillo conosceva questa cosa qui. 🙂