Che poi li vedi come passano, tutti col naso in su. E si girano, pure, quando m’hanno oltrepassato. Che una volta uno ha sbandato ed è finito contro un albero, e me lo sono ritrovato appollaiato addosso, costernato e senza peso, a guardare in giù, stavolta, verso la macchia d’olio, sangue e catrame. E poi se n’è volato via, lento, con le spalle curve e un senso di spreco e rimpianto che sarebbe stato una cosa amara nella bocca, se avesse ancora avuto una bocca e un senso dell’amaro.
Loro mi guardano perché credono che io sia una soglia. Che sotto il mio arco di ferro e di ruggine si compiano quei miracoli di distanza e trasformazione che loro non sanno fare. Che davvero esista una cosa come il quarantacinquesimo parallelo, e tutte le altre linee che attraversano e dividono la terra, che è sferica come la sorte, e rotola e in ogni punto è perfettamente uguale, invece.
Prendi quei due. La donna con una bellezza stanchissima negli angoli del viso, e l’uomo richiuso. Quelli sull’auto scura, che avanza veloce e posso quasi sentire – nel silenzio tra loro – quel respiro di bufera, di sciame, di temporale che viene dai loro pensieri. Lei è protesa verso di lui, e fugge e gli sta immobile accanto; lui vorrebbe fermarsi, e la trascina verso di sé e l’abbandona a ogni svolta. Quello che li lega io non so comprenderlo, perché non vado oltre il ferro dei miei legamenti, e l’abbraccio d’asfalto, pietrisco e roccia viva delle mie fondamenta. Ma posso sentire l’avanzare d’incendio, i vortici che si portano dentro.
Così come sento – ma è una bruciatura costante e superficiale – uno sguardo lontanissimo che viene da lì, dall’area di servizio. Quello sì che è un luogo in cui i destini possono rimescolarsi e compiersi, e lo fanno – nei percorsi traccianti degli sguardi, dei gesti di cui loro nemmeno s’accorgono, e che io vedo da qui, come scie luminose di pneumatici sulle strade bagnate di notte.
Lì c’è un uomo che mi guarda, che percorre ogni giorno tutto il mio arco di ferro. Sento il suo desiderio, non diversamente da una grandine, da una canicola.
Spinge con tutte le sue forze contro di me, perché vorrebbe oltrepassarmi e fare in modo che io lo tocchi, col potere fasullo del quarantacinquesimo parallelo, del ferro e della distanza.
Io, che se potessi mi schioderei da qui e li lascerei da soli, a fare da soli, senza linee né soglie né speranze piene di ruggini.
M’è pure venuto vicino, una volta. Dai, passa, passa: glielo urlavo come cinquecento rondini, come una scarica di fulmini, come un motore a ventotto cilindri, come un’impastatrice con la bocca piena. Come un uomo. Non ce l’ha fatta.
Anche stanotte, non ce l’ha fatta. Ed è tornato a guardarmi, a bussare con le nocche su tutta la mia superficie. E loro nemmeno, nemmeno quei due ce l’hanno fatta.
E tutti a pensare che io, io possa farcela, a cambiarli.
Non sanno che sono loro. Che ogni volta che mi guardano, e passano, convertono una molecola infinitesimale del mio ferro in ruggine, in vapore, in sublimato di ferro e desiderio e distanza. Che ogni volta sono un po’ meno solido, un po’ meno reale, un po’ più vicino alla soglia di miracolo e trasformazione che loro vorrebbero che io fossi.
Sono loro che – quando passano – mi cambiano.
Vabbé, lo ammetto. Sono recidiva. Ma mica potevo sottrarmi. Effe qui ha raccontato una storia. Partiva da un punto, il parallelo 45 (facciamo finta, ché mica esistono i punti, i paralleli e le storie che partono o arrivano in un punto). E allora, nei commenti, shemale e flounder hanno raccontato altri punti. Adesso, con questo, siamo a quattro punti. Ma la media inglese non la so.
quattro punti, come gli orizzonti cardinali.
E da questo arco di ferro e ruggine scoccano frecce che sono vita e storie.
Già, quattro punti… l’anima incatenata dell’uomo senza nome, l’abisso scuro del ttormentato guidatore, il silenzio non interrotto della donna al suo fiancoe e, alla fine, la verità dell’arco.
e mi chedo perchè un parallelo possa suscitare tanto affollamento.
Tante domande, tante storie e tante idee.
Dai quattro punti cardinali escono fuori anime diverse. ma no, cosa dico, escono fuori diverse attitudini.
E’ come se ognuno dei quattro racconti mi proiettasse davanti l’immagine di chi l’ha concepito ed io ferma lì come al cinema che scruto.
C’è quella forte e maschile, fatta di antiche sapienze e incancrenite abitudini che parla come ancora volesse provare ad indicare a qualcuno la via. Personaggio saggio e retorico quasi uscito da un romanzo di terra sudata.
C’è quella immolata e recidiva, che vuol far passare a tutti i costi un suo dolore, spennellarlo sugli altri affinchè lo portino loro come una bandiera, che lei non lo può più, che lei non ne può più. E te lo porge come uun giudice ti offre la condanna: prendere o prendere. Non si può lasciare.
C’è quella dell’uomo che dipinge gli specchi, sì proprio quello che cosparge il vetro con quella vernice magica che permette a tutti di riflettersi. E tante volte l’ha fatto che non sa più chi è lui e quali sono le immagini che ha catturato.
E vuol farci credere che sa scegliere e discernere, ma si ritrova sempre a parlare con altrui occhi, mani e vite.
Ed infine c’è quela del demone del destino che sa, prevede e non agisce. Lascia andare perchè possa meglio compiersi l’evento scatenante, o quello fulminante, poco importa. Lui è lì affinchè tutto si compia come una mano protesa sull’orizzonte che afferra le ombre, le allunga, le distorce, le attorciglia e poi, col calare della notte, le dissolve.
C’era un 45° parallelo anche fra le mie dita, perchè mi fa freddo il concetto di parallelo e soprattutto di questo che se ne vaga verso il nord.
Il 45° parallelo mi ricorda le terre inaridite dal male di alcune saghe famose.
Ma l’ho lasciato andare per rispetto di tutte queste immagini che in poche ore hanno sconvolto la placida e distesa essenza di quei 45 gradi a nord del mondo.
Baci
Isabella
se non la smettete.
dico, se non la smettete voi tutti, effe in primo luogo, e poi quello shemale lì. e tu. e quell’altra riccio nascosto.
e questa sciallieventagli qui su, che dette da lei le cose che abbiamo scritto sembrano addirittuta altre cose, con un mondo dietro che le anima.
ecco, dicevo, se non la smettete è difficile che io possa riacquistare un ritmo di vita normale, lavorare con lucidità, fare la spesa e le cose che fanno tutti.
mi solleticate, mi pizzicottate, mi incantate, mi ipnotizzate.
mi costringete, purammè.
cattivi.
Non è giusto. Uno scrive un appunto sulle spalle di Herzog e subito arriva Flounder ad aggiungere qualcosa di più esatto e trascinante. Poi anche questa maledetta brioche, che riece persino a tirar fuori delle emozioni da un arco. Mai fidarsi delle donne, arrivano sempre delle fregature.
Io le donne le odio, in realtà.
Se solo non fossi una femmina anch’io…
P.S.): “Au contraire”, mie care. Avete visto che la scrittura collettiva si è trasferità per sua scelta qui, abbandonando le accademiche aule delle università e i polverosi laboratori sperimentali? Che dite, telefoniamo a Umberto Eco? Anche perchè, diciamoci la verità, noi mica lo facciamo per posa, come facevano quegli studenti e professori con la barba lunga e i maglioni girocollo Noi lo facciamo per puro divertimento. E l’arte può davvero trovare uno spazio, magari piccolissimo, in un gioco spensierato o in un innocente divertimento.
Ma mai nella posa.
ci si aspetta sempre tanto da noi…. non si è ancora del tutto compreso che si cambia da soli… e poi, casomai ci si propone….. vagglirlo a dire…. baci
“olio, sangue e catrame”, letto il composto non sono riuscito a proseguire…
Sto raccogliendo queste pozioni scritturali vagamente sinistre….nell’attesa che un giorno si trasmutino in fresche levande.
suo
M.
Già, sempre così, vedo il disegno, primacosa, mica leggo. Dico: bello, torno ore dopo, riguardo, ristudio, dico: bello davvero!
Poi leggo dopo ore.
Hai capito, brioscina, hai capito, primo senso: la vista.
Se sto blog avesse odori me lo annuserei poi lo sentirei poi lo magnerei, essendo buono sicuramente sapendo de spezie orientali e levantine, ti dico.
Poi lo leggerei.
Forse meglio lo ascolterei, ecco.
Io non so di paralleli, so di guardiani delle soglie, che lì, intorcinati a guida di pilastri tortili basilicali,
se ne stanno ingrugnati con musi duri dentoni sghimbesci liguazza pendula a far paura alle genti, i più scappano e poi dormono male.
Chi ci da dentro ci soffia sopra e tira dritto si volta magari indietro, senza diventar di sale affatto, e dice, a volte:
Oh cazzo, la porta la sua soglia non c’è più neanche il guardiano.
Altre volte dice:
Vabbè,il mondo è così.
Però cazzo lo dice lo stesso.
Perché sono sempre dei maleducati quelli lì che passano, in genere.
Mario
Venite qualche volta a trovarci alla nostra
Socièté des cartographes fous!
http://societe.splinder.com/
C’è un tema che potrebbe interessare i blogghisti
Scrivere sull’acqua
Oh mamma. Marius, ci sono venuta, a scrivere sotto l’acqua, che nemmeno avevo le galosce e mi sono inzaccherata ma felice, eh, che bagnarsi nell’acqua dei blog – che Eraclito diceva che non è mai la stessa acqua, e lo diceva in un commento, o in un frammento, mi pare – è bello, che poi crescono le piante, e le palme, che sono alberi-lettera. E sì, scriviamo col dito sull’acqua, ma tutto scorre – e questo era un altro post famoso di Eraclito – e la memoria l’acqua se la conserva, nella sua pancia trasparente d’idrogeno e ossigeno, e anche noi ce la conserviamo, che siamo tutti acqua (90 per cento acqua e 10 per cento desideri). E che acqua sia, e porti in mare tutto quanto, in pasto ai pesci. Blog-sardine, blog-balene e blog-pescespada.
Herr Effe, gli archi sono ovunque, e siamo trafitti da frecce – e storie – che nemmeno sansebastiano.
riccio, come si disse, per un punto passano infinite storie. forse, a volte, sono la stessa.
Isabella, il destino è confusione di traiettorie, desideri che s’incrociano, incomprensioni, parole perse in traduzione, fraintendimenti che chiamiamo caso, altri, relazioni, sorte. A volte si scrive per capirci qualcosa, o per perdere meglio ancora la bussola.
Flo, tu normale? tu a fare la spesa? tu che racconti di uomini senza gambe e poeti-cometa ogni quindici anni? tu che appena uno traccia un punto eccoti lì a disegnare infinite rette, anche un poco curve. Tu.
shemale, mi viene in mente una cosa di Pasolini: la poesia in forma di rosa. Gli uomini in forma di posa. Una posa è una posa è una posa è una posa. (le donne non sono inaffidabili, sono spaventose)(ma questi sono problemi vostri)(di voi demoni ermafroditi, dico).
palommé, si cambia e si resta, mentre il mondo intero cambia. cambiamento è solo un nome per chi guarda dall’altro lato, a volte.
Giocatore, olio catrame e sangue è ottimo. E’ un solvente, meglio della cocacola. (prima o poi, Matteo, prima o poi)
Marius, come mi piacerebbe un blog olfattivo, un blog gustativo al sapore di mandorla e caponata. Un blog alla cannella e al pepe verde, alla peperonata e al ficodindia. E poi i guardiani, tsè, sempre in sciopero, sulla soglia…
faccio anche le bambole per il voodoo. ne vuoi una?
faccio anche le bambole per il voodoo. ne vuoi una?
Flo, me ne prenoto una subito. Ho in mente un paio di cosette e domani compro gli spilloni…
Questo archo di ferro e ruggine mi disorienta, attrae troppo l’attenzione della gente in maniera malsana, fino alla morte .Ed è l’emblema di una finzione e a me piacciono le cose concrete, quelle che si toccano. E poi odio i paralleli. Quel che è parallelo non s’incontra, non è così?
sembra che s’incontra al finale dello spazio che è curvo
curvo sono io,
lo spazio chissenefrega,
ecco